Diario di una difesa, ovvero l’innocenza del mostro (2011) by Rosario Bevacqua

Diario di una difesa, ovvero l’innocenza del mostro (2011) by Rosario Bevacqua

autore:Rosario Bevacqua
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica umanistica
editore: Ibiskos Ulivieri
pubblicato: 2011-05-14T16:00:00+00:00


LETTERA alla D.ssa DELLA MONICA

“La Corte ha esaminato l’episodio della lettera inviata alla D.ssa Della Monica nelle pagine 223 e 238 e quindi nelle successive fino a pag. 254 allorché ha preso in esame la testimonianza di Longo Ivo.

Il costrutto motivo della sentenza appare anche qui singolare.

Dopo aver ribadito che quel lembo di seno era certamente della povera Mauriot, la sentenza ha articolato un ragionamento, così fantasioso, da lasciare perplessi.

Secondo esso l’imputato, dopo aver ucciso con abiti insanguinati che evidentemente portava con sé, avrebbe percorso quel bosco per almeno due ore e mezzo, di cui un’ora e più con i macabri trofei, sarebbe quindi risalito in auto, visto dal Nesi all’incrocio di via Faltignano per poi in una “struttura di appoggio” presumibilmente la casa… dove poteva provvedere a cambiarsi e a lavarsi e alla preparazione del cruento reperto da inviare al P.M. (pag. 230 sentenza)

Nessuno, né le figlie “nemiche” né la moglie né altri hanno riferito averlo mai visto imbrattato di sangue, né avere ricordo di abiti, così conciati, né di trofei, di bisturi o di altro.

Sicché pare evidente come il costrutto motivazionale, appaia frutto di mere congetture, prive di qualsivoglia riscontro processuale.

Dice la Corte, che il Pacciani aveva preparato la busta, aveva infilato il cruento reperto, si sarebbe portato con l’auto a S. Piero a Sieve, per poi fare ritorno “al punto base, stavolta con maggiore tranquillità e sicurezza, perché in un solo colpo ci si era sbarazzati della prova del delitto e si era creato un probabile depistaggio delle indagini” (pag. 231).

Al di là della straordinaria fantasia che caratterizza l’intera motivazione, giova ricordare il tentativo della Corte, anche là dove era logicamente impossibile dare una spiegazione alle modalità formative della “famosa” lettera, alla preparazione del suo contenuto, sostenendo nel Pacciani “una scaltrezza di grado assolutamente eccezionale… abilissimo nel confondere e nascondere le prove, quanto diffidente ed astuto nell’evitare di crearne” (pag. 237 sentenza).

Ed allora ci si domanda: perché non fu così astuto quando si accorse dell’attenzione più volte riposta dagli inquirenti sul blocco Skizzen e non lo fece sparire?

La Corte prosegue nel suo elaborato congetturale e sostiene che egli non usò la saliva, perché aveva un’altra colla. La destrina, ed anche perché (nel 1985) non era normale l’esame del D.N.A. dimenticando, che proprio dalla saliva si poteva, anche allora, riconoscere il gruppo sanguigno, così come è stato fatto per altre lettere anonime, inviate ai PP.MM. Dott. Fleury, Canessa e Vigna (pag. 23 – fascicolo 64 – Dr. Trinca).

Basti guardare la busta nel suo insieme per capire, come l’autore fosse con aggettivazione così cara alla Corte, “sovrapponibile” a persona dal carattere e dai modi in apparenza corretti, persino ortodossi, essendosi egli preoccupato di inserire anche l’esatto codice postale, anteponendo al destinatario il cognome al nome, quasi a significare una consuetudine a catalogare individui, da inserire in cartelle, registri o altri documenti di valenza, forse anche pubblica.

Sarà utile ricordare quanto riferito dai periti Prof. Bartoloni-Cagliesi-Cingolani e Marini (Udienza 4.7.‘94 – fascicolo 59).

Costoro hanno ribadito di aver fatto un esame istologico



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