Damlo il Roscio by Luca Trugenberger

Damlo il Roscio by Luca Trugenberger

autore:Luca Trugenberger [Trugenberger, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fanucci
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


6

Quando Damlo arrivò alla locanda nessuno dei mercanti era ancora rientrato. Dopo avere nascosto nel carro la cintura portasoldi, salì in camera e sedette sul letto senza fare nulla. L’euforia di poco prima era svanita e la semplice idea di rivedere i compagni gli appesantiva il cuore. Ouklar e Fíneris, in particolare, perché sentiva che i gemelli, indifferenti com’erano al denaro, non potevano essere i colpevoli.

C’era silenzio. La stanza gli pareva priva di aria e la locanda fredda e deserta. Improvvisamente a disagio, si alzò e corse alle stalle. Preso dai lussi e dalla baldoria, negli ultimi giorni aveva trascurato Maestà, e adesso sentiva il desiderio di chiacchierare un po’ con lui. Lo accarezzò a lungo sul collo e gli raccontò nei dettagli l’avventura del rubino. Il castrone ascoltò pazientemente, con l’aria di suprema degnazione che gli era valsa il suo nome. Si innervosì soltanto quando il ragazzo, mimando lo scatto prodotto nella bottega del truffatore, con un ampio gesto sfoderò la spina e gli mancò di un soffio le froge.

Damlo rimase nella stalla una mezz’ora; poi, sollevato per avere ristabilito buone relazioni con il cavallo, uscì dal cancelletto posteriore della locanda e andò a sedersi sul muretto.

Alla sua sinistra scorgeva il porto di Laría che occupava una buona metà del confine tra la città e il lago. Si arrotondava lungo la costa, protendendo verso il largo decine e decine di moli in pietra e in legno. Quelli più esterni erano protetti da rocce ammassate nell’acqua fino a emergere per diversi piedi. All’interno del complesso, ormeggiate alle banchine, molte navi aspettavano il loro turno per essere caricate o scaricate; alcune erano pronte ma non potevano partire perché il tempo si era volto al brutto. Viste da lontano, le alberature intricate e spoglie parevano una foresta dopo un grande incendio.

Sulle protezioni del porto si infrangevano di continuo grandi ondate, così ravvicinate una all’altra che pareva sgomitassero per colpire le rocce. Finivano tutte per esplodervi contro, alzandosi di colpo in bianchi sbuffi e ricadendo come fitta pioggia al di là degli ostacoli, sui ponti delle navi ancorate al riparo. Il vento fischiava teso, proveniente da ovest, e sulla spiaggia sassosa di fronte al ragazzo le onde arrivavano di sbieco. Con creste zannute, si precipitavano imbizzarrite da destra a sinistra, come per raggiungere e addentare anch’esse i moli, lontani alcune centinaia di passi.

Improvvisamente, le raffiche portarono alle orecchie di Damlo delle grida. Il ragazzo guardò verso ovest e vide, sul lago infuriato, una piccola barca che le onde sballottavano come un turacciolo. Distava circa duecento passi dalla riva, ma la forza del vento traverso le impediva di accostare e la spingeva verso est. Verso le rocce del porto. A bordo c’erano quattro persone: un vecchio, due giovani e un ragazzo intorno ai dieci anni. A metà dell’unico albero erano fissati due bastoni che formavano un triangolo orbo di un lato. Tra essi era teso un minuscolo pezzo di stoffa: una parte minima della velatura, il cui resto, legato a uno dei legni, sbatteva al vento.



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