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autore:Unknown
Format: epub


Nel Vagabondo delle stelle, Jack London immaginò un prigioniero che sognava di evadere. L’uomo si addormentava e cambiava aspetto, paese, destino. Ma la trasformazione dell’eroe era soltanto onirica, e la chiave della sua cella una semplice chiave dei sogni.

Rimbaud, invece, visse organicamente le sue metamorfosi. Lui sogna da sveglio e muta per davvero.

Si potrebbe ribattere che l’«Io è un altro» è una tentazione ordinaria, vecchia come gli dei greci. Gli abitanti dell’Olimpo ci davano dentro con le metamorfosi. Traduciamo il comandamento di Rimbaud nella vita comune: l’uomo ama travestirsi. Vuole credersi un altro. È l’interpretazione volgare della formula rimbaudiana. Il bambino gioca agli indiani, l’adulto gioca a credersi importante. Gli uni portano l’uniforme, gli altri le decorazioni; il marito gioca a fare l’amante, il professore fa il bambino, il saggio si ubriaca di vino cattivo, il borghese s’incanaglisce, la carogna si genuflette. Dottor Jekyll è Mister Hyde. Questo è il gioco di «io è l’altro» vissuto a livello prosaico, aneddotico, esistenziale: è un vecchio ritornello.

Ma «Io è un altro» è diventato anche un programma politico per epoche mercantesche! Nel XXI secolo, la formula sembra uno slogan. La modernità vi trova la sua definizione spirituale. «Siate un altro! Diventate quello che volete» proclamano i nuovi costumi. L’ aquila bicipite del mondo moderno (una testa per la tecnica, l’altra per il commercio) lo ripete ai consumatori: «Uscite dalla genealogia, evadete dal determinismo geografico, fuggite al vostro destino biologico, non lasciatevi guidare dai vostri avi, dalla scuola o dalla legge. Inventatevi! Cambiate sesso, paese, cultura; vivete la vita dove volete e come la intendete!». Insomma, i tempi nuovi ingiungono ai loro figli di vivere vite successive, mobili, fugaci e folgoranti, nel bazar della virtualità. Evadete, venite come siete e siate quello che volete, poiché il cambiamento è adesso. Nuova antifona: non fermarsi. Né in un luogo, né a una formula. «Io deve essere un altro», da nessuna parte e ovunque, bighellonando nel campo delle possibilità. E, soprattutto, ripete la moda: non conserviamo la posizione che abbiamo ereditato.

La grande questione dei tempi classici stava nell’imperativo di conoscere se stessi, nel circoscriversi entro determinati limiti, trattenersi, ritornare là da dove si era partiti, trasmettere ciò che si era ricevuto e non variare mai questo programma. «Bene» diceva l’uomo del mondo di ieri, «io sono quello che fui e i miei figli saranno quello che ero.» Io manterrò, dicevano i re d’Olanda, che non avevano conosciuto Rimbaud.

Ora, nella lettera a Izambard del maggio 1871, Arthur contesta la vecchia legge. L’«Io è un altro» inaugurerà la sua stagione all’inferno. Più tardi ritornerà sul proposito di partire, come fece di frequente dopo essersi avventurato in vicoli ciechi. La traiettoria di Arthur si conclude spesso con dei ravvedimenti.

In Africa, il desiderio di riposo e le ambizioni di ritornare dai suoi contraddicono il progetto di una totale diffrazione. Non si tratterà più di «Io», ovvero «un altro», ma di trovare il proprio posto su questa terra per finire tra le braccia di sua sorella. Lo sospettava, Arthur, che si diventa pazzi ad avere più persone dentro di sé.



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