Il Libro dei Mille Giorni by Shannon Hale

Il Libro dei Mille Giorni by Shannon Hale

autore:Shannon Hale [Hale, Shannon]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T09:04:58+00:00


Io ho riso. Non sono riuscita a farne a meno. Ma lui non ci ha fatto caso, credo.

Mi sono messa al lavoro sulla sua gamba e ben presto ho sentito che il dolore si sollevava da lui e lo abbandonava. Quando gli ho cantato la canzone curativa la prima volta, due settimane fa, ci ha messo molto più tempo, quanto ci mette l’acqua sul fuoco a bollire. Più lavoravo sulla sua gamba, più lei ricordava come si sentiva quando era sana. Mi sono detta che presto sarebbe guarita. E che lui non avrebbe più avuto bisogno di me.

Forse è stato quel pensiero che mi ha spinto a guardare in profondità, in cerca di un altro dolore. Gli ho posato le mani sulla pancia, poi sul petto. Il khan ha aperto gli occhi. C’era un bruciore dentro di lui, un bruciore tagliente, vile, come generato da due pezzi di qualcosa che sfregano uno contro l’altro. Non una ferita della carne, ma un dolore che lui si rifiutava di lasciarsi alle spalle. Sono rimasta sorpresa, perché in tutta la mia vita ero riuscita a sentire un bruciore simile solo con la mamma e la mia signora, e una volta in un agnello che amavo come un bambino. E adesso lo sentivo così bene nel khan.

«Posso… posso cantare ancora per voi, signore?» ho chiesto.

«La gamba va meglio. Basta così.»

Basta così, aveva risposto, e voleva dire che dovevo andarmene, veloce come un pesce. Ma come potevo, sentendo una simile ferita, non cercare di guarirla? Un pezzetto della mia mamma si è risvegliato in me, un pezzetto dell’ostinato carattere da nomade delle steppe, quella cosa che ti tiene in vita quando intorno tutto è gelato e il sacco del cibo è vuoto. In quel momento qualunque sciocco sarebbe felice di morire ed entrare nel Regno degli Antenati, ma solo un nomade delle steppe è così ostinato da continuare a vivere.

«Sedetevi» ho detto.

Mi viene voglia di schiacciarmi gli occhi fino a chiuderli perfino ora che sto scrivendo queste parole, eppure è tutto vero. Ho detto al khan della mia signora, al signore di Canzone per Evela, un onorevole nobile, di sedersi. Nibus, dio dell’ordine, perdonami.

Gli ho riappoggiato le mani sul petto e ho sentito quanto è forte. Tutti quei muscoli sotto la pelle… è stato come toccare il collo di un cavallo che corre. Khan Tegus è un soldato: avrebbe potuto spedirmi sul soffitto con un calcio e poi tirarmi giù. Invece si è appoggiato allo schienale.

E io ho cantato. «Bacche d’estate, rosse, verdi e viola.» E ancora: «Scavando e grattando, la terra si rinnova.»

Lui si è appoggiato un po’ di più allo schienale, si è irrigidito e poi rilassato, i muscoli della fronte erano contratti. Poi a un tratto è trasalito, non per il dolore ma per la sorpresa, e il suo braccio ha frustato l’aria, buttando a terra i documenti.

«State bene?» ho chiesto. Hanno iniziato a tremarmi le mani, e così gli ho picchiettato il torace e il ventre per assicurarmi di non avergli fatto male.



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