La città delle bestie by Isabel Allende

La città delle bestie by Isabel Allende

autore:Isabel Allende [Allende, Isabel]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
Tags: Narrativa, Generica
ISBN: 9788807884665
Google: DGS2oAEACAAJ
Amazon: 8807420953
editore: Feltrinelli
pubblicato: 2002-01-01T23:00:00+00:00


All'interno delle capanne c'erano pochissime cose: amache, zucche, asce di pietra, coltelli fatti di denti o artigli e vari animali domestici che appartenevano alla comunità e che entravano e uscivano a loro piacimento. In quella dei celibi erano conservati gli archi con le frecce e i dardi. Non c'era niente di superfluo, nessun oggetto ornamentale, ma solo l'essenziale per la pura sopravvivenza perché il resto veniva fornito dalla natura. Alexander non vide nessun utensile di metallo che testimoniasse contatti con il mondo esterno e ricordò che il Popolo della Nebbia non aveva toccato i doni appesi agli alberi da César come richiamo. Anche in questo si distinguevano dalle altre tribù della regione, che a poco a poco stavano soccombendo all'avidità che li spingeva a impossessarsi dell'acciaio e di altri beni dei forestieri.

Quando la temperatura si abbassò, Alex si rivestì, ma continuava a tremare dal freddo. Durante la notte vide che i suoi compagni di capanna dormivano in due in un'amaca o a terra uno stretto all'altro per tenersi al caldo, ma lui proveniva da una cultura in cui il contatto fisico tra maschi non è ammesso; gli uomini si toccano solo in impeti d'ira o negli sport più violenti. Si raggomitolò da solo in un angolo, sentendosi più insignificante di una pulce. Quel minuscolo gruppo di esseri umani, nel loro piccolo villaggio in mezzo alla foresta, era invisibile nell'immensità dello spazio siderale. Nell'infinito, la durata della loro vita era più breve di una frazione di secondo. O forse non esistevano nemmeno e gli esseri umani, i pianeti e tutto il creato erano solo sogni, pure illusioni. Sorrise umilmente ricordando che fino a poche settimane prima credeva di essere il centro dell'universo. Aveva freddo e fame e si preparò ad affrontare una notte lunghissima, ma in meno di cinque minuti stava già dormendo, come sotto l'effetto di un sonnifero.

Si svegliò rannicchiato per terra su una stuoia di paglia, stretto tra due robusti guerrieri che russavano e sbuffavano nelle sue orecchie, come faceva Poncho. A fatica si staccò dalle braccia degli indios e si alzò con discrezione, ma non andò lontano, perché un grosso serpente di oltre due metri si era messo di traverso sulla soglia. Alex rimase come pietrificato, e non osò muoversi anche se il rettile non dava alcun segno di vita: era morto o stava dormendo. Ben presto gli indios si svegliarono e cominciarono a dedicarsi senza alcuna fretta alle loro attività, scavalcando il serpente come se niente fosse. Era un boa constrictor addomesticato, la cui mansione era quella di eliminare topi, pipistrelli e scorpioni e di spaventare i serpenti velenosi. Il Popolo della Nebbia aveva molte mascotte: scimmie che venivano cresciute insieme ai bambini, cagnolini che le donne curavano come figli, tucani, pappagalli, iguane e persino un decrepito giaguaro giallo, inoffensivo e zoppicante. I boa, ben nutriti e quasi sempre in letargo, lasciavano che i bambini giocassero con loro. Alex pensò a quanto sarebbe stata felice sua sorella Nicole in mezzo a quel circo esotico di animali ammaestrati.



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