La spada di legno (Italian Edition) by Frida Nilsson & Stefania Recchia

La spada di legno (Italian Edition) by Frida Nilsson & Stefania Recchia

autore:Frida Nilsson & Stefania Recchia [Nilsson, Frida & Recchia, Stefania]
La lingua: ita
Format: epub
Amazon: B07JH17K4G
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2019-02-12T10:08:22+00:00


Alleanza nel buio

Erano passati molti giorni da quando Vingmar era venuta nella nostra cella. Nessuno ci aveva detto cosa ne sarebbe stato di noi. L’incertezza era una tortura. Era uno stillicidio starsene seduti al buio e non poter fare altro che aspettare, ascoltare il gocciolio dell’acqua dalle pareti, udire le voci delle arpir in lontananza, fissare la piccola torcia fuori della cella, con lo sguardo inchiodato alla fiamma, come se fosse il nostro senno e fossimo terrorizzati di perderlo. Era terribile, come avere le tempie strette in una morsa.

Le ferite di Trine si erano trasformate in croste. Seppur lo avessero ferito a sangue, graffiato, non sarebbe mai potuto morire. E la Principessa, se anche avesse preso a testate il muro ancora e ancora, impazzita per la cattività, nemmeno lei sarebbe mai potuta morire. Nessuno poteva morire, tranne me. La Regina di Sparta aveva detto che Morte poteva arrivare come una salvezza.

Sì, immaginai, essere liberati dalla propria prigione di pelle. Sfuggire al buio e all’umidità, e andare a casa di Morte per una festa a base di torta. Dato che ero già lì, mi sarei perso la traversata in nave. E del viaggio nella carrozza di Karo non se ne parlava nemmeno. Ma quella sedia? La portantina che le arpir trasportavano per Morte e il suo compagno di viaggio nell’ultimo tratto? Il finale doveva essere qualcosa di assolutamente speciale! Credo che mi balenò un sorriso sul volto mentre fantasticavo, seduto su una sporgenza. Pensai a quando sarei uscito dal guscio e al viaggio sopra i monti.

“Ehi!” aveva bisbigliato qualcuno.

Alzai gli occhi. Trine e la Principessa dormivano rannicchiati sulla paglia. Mi levai in piedi e andai a vedere chi era arrivato.

Era il piccolo arpir, Höder, atterrato poco distante, nel buio.

“Ciao,” salutò avvicinandosi alle sbarre.

“Ciao,” replicai.

Rimase in silenzio per un po’, come se aspettasse che parlassi io. Alla fine disse: “Volevo solo dirvi che ho preso le vostre spade”.

“Le hai prese?”

“Sì. Dalle mie sorelle. Le avevano lasciate nel baule dei giochi. Le ho prese e le ho nascoste dietro la legna da ardere in cucina.”

“Perché l’hai fatto?” chiesi.

Höder si allungò, con un’espressione adulta in volto.

“Beh, perché non era giusto che le avessero Krov e Näva. Non importa quello che dice Herfiäder.” I suoi occhi gialli sorrisero. “Sono inferocite. Dicono che le ho prese io, assillano nostro padre perché mi rimproveri.”

“E tuo padre?”

“Dice che le hanno perse loro, che io sono obbediente e non potrei mai rubarle.” Rise, poi tornò serio. “Non lo avrei mai fatto. Ma quelle spade sono vostre, o sbaglio? Quando vi avranno liberati, ve le restituirò.”

“Liberati?” dissi. “Come?”

“Non lo so.” Höder si girò, come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa. “Io so solo che nostra madre ha parlato un sacco con Herfiäder. Notti intere.”

“Adesso è notte?” chiesi.

Lui deglutì, sembrava intenerito da me e dal fatto che non lo sapessi.

“È giorno,” disse. “Domani il Capitano Terfut e il Re di Sparta giungeranno la Vetta Tre Punte. Nostra madre ha deciso di incontrarli là. Andrete anche voi.”

Mi prese una felicità indescrivibile, pur



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