Miracolo a Hollywood by Orson Welles;Gianfranco Giagni;

Miracolo a Hollywood by Orson Welles;Gianfranco Giagni;

autore:Orson Welles;Gianfranco Giagni; [Welles, Orson]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788838944857
editore: edigita
pubblicato: 2022-10-18T22:00:00+00:00


Nota

di

Gianfranco Giagni

Se Flaubert rileggeva ogni anno il

Don Chisciotte, perché noi non

dovremmo rivedere L’orgoglio degli

Ambersons il più spesso possibile?

FRANÇOIS TRUFFAUT

1950. La popolarità di Orson Welles a Parigi, come in tutta Europa, era immensa, soprattutto dopo il successo de Il terzo uomo uscito soltanto un anno prima.

Nonostante lui avesse sempre dato al regista quel che è del regista, quello divenne per tutti «Un film di Orson Welles interpretato da Orson Welles». Due falsi. Perché il film è di Carol Reed e perché lui appare dopo più di tre quarti d’ora e solo per una decina di minuti. La sua presenza vive di sguardi (quanto quello di Marlon Brando/Kurtz nella sequenza di Apocalypse now in cui appare per la prima volta, deve allo sguardo di Orson Welles/Harry Lime?), immobilità nei portoni bui, movimenti improvvisi, lame di luce sui suoi occhi e sulla bocca atteggiata ad un sorriso indecifrabile. Poche parole (Orson doesn’t speak!!!), e una battuta indimenticabile: «In Italia per trent’anni sotto i Borgia hanno avuto guerre, terrore, assassini, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno. E cinquecento anni di democrazia e di pace. E che cosa ne è uscito? Orologi a cucù», che Graham Greene, l’autore della sceneggiatura e del romanzo uscito dopo il film, disse di non aver scritto, mentre Welles se l’era attribuita per poi smentirsi, in un momento di sincerità, riconoscendo di averla rubata ad una sconosciuta pièce ungherese.

All’inizio di quel 1950 erano appena finite le riprese di Othello, una giostra durata due anni con continui stop and go per mancanza di soldi, con le Desdemone che continuavano a cambiare, i direttori della fotografia che scappavano, i costumi che sparivano e Viterbo, Perugia, Tuscania, il Marocco, perfino il quartiere dell’Eur a Roma che diventavano di volta in volta l’isola di Cipro.

E non era finita. Orson Welles, anche produttore di quel film dopo essere stato abbandonato dai finanziatori italiani, doveva ancora trovare i soldi per l’edizione e terminarlo. Nel frattempo però riuscì a trovarli per realizzare uno spettacolo teatrale: The Blessed and the Damned.

Per metterlo in scena Welles dovette combattere contro una serie interminabile di imprevisti e la prima venne rinviata quattro volte. Lo stesso era accaduto, e sarebbe accaduto ancora, durante la preparazione di molti altri suoi spettacoli teatrali e di quasi tutti i suoi film. Escluso Citizen Kane naturalmente.

Welles faticava non poco nel far accettare i suoi impossibili orari di lavoro e a farsi capire dai tecnici del teatro – «Ho realizzato film in sei differenti paesi e non ho mai trovato problemi di lingua come in Francia». Erano soprattutto piccoli, stupidi problemi a rallentare la produzione.

Uno sfondo che voleva rosa dipinto invece color malva; giorni di discussioni per accordarsi sul noleggio di un pianoforte; le scenografie dello spettacolo temporaneamente spostate in uno spazio all’aperto del teatro non furono più utilizzabili a causa di un nubifragio, così se ne dovettero costruire delle nuove. Accadde perfino che il pubblico che affollava il foyer per la prima, in abito da sera come richiesto, venisse rimandato indietro.



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