Carte d'amore by Antonio Prete

Carte d'amore by Antonio Prete

autore:Antonio Prete
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2021-12-23T00:00:00+00:00


Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,

spatialmente messor lo frate Sole,

lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de te, Altissimo, porta significatione.

Se sono certamente presenti nella mente di Francesco passaggi delle laudes liturgiche, e delle loro fonti, come il Salmo 148 (Laudate Dominum de caelis), qui è il dispiegarsi luminoso del visibile che è dominante. Un visibile nominato nella sua coralità e allo stesso tempo nella singolarità di ogni elemento, sicché la lode, mentre riconduce l’insieme alla sua origine, all’Altissimo, mostra di ciascuna figura la forma propria, la propria virtù, la specificità del suo pulsare nella luce della bellezza: la luna e le stelle sono «clarite et pretiose et belle», il vento e l’aria e le nubi e il sereno e ogni altra condizione atmosferica presiedono alle stagioni e dunque al sostentamento delle creature, l’acqua è «utile et pretiosa et casta», il fuoco, che illumina la notte, è «bello et iocundo et robustoso et forte». La natura, per la sua preziosità e utilità e bellezza, è come convocata in una presenza che mostrando la sua pulsazione viva, chiama l’uomo a uno sguardo non solo partecipe ma coinvolto nello stesso respiro. Perché la «madre terra», con i suoi frutti e i suoi fiori e la sua erba, è anche dell’uomo, nel suo cerchio si inscrive la sofferenza, e la stessa «morte corporale». La lode rivolta a Dio muove da una corolla di per causali – «per sora luna e le stelle», «per frate vento», per «sor’aqua», «per frate focu» – che sono come dei rafforzativi di una presenza: nominazione creaturale che sembra voler mostrare, per ogni elemento, la scintilla di vita e di luce propria, e per questo una sua bellezza determinata, singolare, non risospinta nell’astrazione di un teologico bagliore, ma riconducibile a Dio solo attraverso la percezione della individuata specificità vivente. Ed è proprio questa forte presenza dei singoli elementi naturali che motiva la relazione di fratellanza e sorellanza: una prossimità che raccoglie tutti i viventi nello stesso cerchio. Il Cantico di Francesco è una bellissima e tenera declinazione dell’agape, estesa dalla comunità degli umani alla comunità di tutto quello cui diamo il nome di vita. La sua voce giunge come un invito, o forse come un’estrema supplica, in un’epoca come la nostra, che quel vivente della natura ha reso opaco, o deturpato, o rimosso, o cancellato, o sottoposto a sconsiderato dominio e consumo.

Un amore creaturale, questo cantato da Francesco. Amore del visibile. Ma momento di quell’amore che è principio e anima dell’universo e che Dante porrà a sigillo delle sue tre cantiche, come luminoso explicit della Commedia: «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Un verso che sopraggiunge all’estrema visione del poeta e che dice l’appartenenza dell’essere umano, di ogni essere, al ritmo dell’universo. Un ritmo che ha una sola sorgente: l’amore. Ecco l’ultima terzina della Commedia:



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