Essere una macchina by Mark O'Connell

Essere una macchina by Mark O'Connell

autore:Mark O'Connell [O’Connell, Mark]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Hans Moravec (il professore di robotica della Carnegie Mellon che ha illustrato una teorica procedura per il trasferimento del contenuto del cervello umano su un supporto artificiale) prevede un futuro in cui «i robot, migliorando le prestazioni e costando molto meno, toglieranno agli umani funzioni essenziali». Dopo di che, aggiunge, «potrebbero toglierci la vita stessa». Essendo un transumanista, però, Moravec non crede che sia una prospettiva da temere, e in senso stretto neppure da evitare; i robot, infatti, saranno i nostri eredi evolutivi, «figli della nostra mente» per dirla con le sue parole «costruiti a nostra immagine e somiglianza, noi stessi in una forma più potente ed efficiente. Come i figli biologici delle precedenti generazioni, incarneranno per l’umanità la migliore speranza di un futuro a lungo termine. Sarà nostro dovere lasciare loro il campo e toglierci di mezzo quando non saremo più in grado di dare un contributo».

Nell’idea dei robot intelligenti c’è chiaramente qualcosa che ci terrorizza e al tempo stesso ci attrae, alimentando le nostre febbrili visioni di onnipotenza e obsolescenza. L’immaginazione tecnologica proietta sulla figura dell’automa una fantasia di divinità, con tanto di inevitabili ansie prometeiche. Pochi giorni dopo la mia visita a Pomona leggo che a un convegno Steve Wozniak, il cofondatore di Apple, si è detto convinto che gli umani siano destinati a diventare gli animali domestici di robot superintelligenti. Questo, però, ha sottolineato, non è necessariamente da considerare un esito nefasto. «Anzi, per gli umani la situazione potrebbe rivelarsi ottimale» spiega. I robot «saranno così intelligenti, a quel punto, che capiranno di dover preservare la natura, di cui gli umani fanno parte». I robot ci vedranno come «gli dèi originari», quindi, secondo Wozniak, ci tratteranno con rispetto e gentilezza, con una specie di benevolenza padronale.

A quanto pare, questa della creazione è una delle più antiche fantasie collettive della specie. Si direbbe che ci sia connaturata, che ce la portiamo dietro attraverso le culture e i secoli, un sogno di materia levigata che replica i nostri corpi e i nostri atti secondo i nostri desideri. Divinità frustrate quali siamo, abbiamo sempre sognato di creare macchine a nostra immagine e ricreare noi stessi a immagine di queste macchine.

La mitologia greca aveva i suoi automi, le sue statue viventi. L’artefice Dedalo, ricordato soprattutto per i suoi disastrosi tentativi nel campo del potenziamento umano (il labirinto, le ali di cera, e l’annegamento tragico ma edificante), costruiva anche uomini meccanici, effigi animate in grado di camminare, parlare, piangere. Efesto, dio del fuoco, del metallo e della tecnologia, aveva costruito un gigante di bronzo, Talo, per proteggere Europa da ulteriori rapimenti, dopo quello di Zeus.

Gli alchimisti medioevali erano ossessionati dall’idea di creare uomini dal nulla, e credevano che si potessero mettere al mondo minuscole creature umanoidi, gli homunculi. Ciò era possibile, sostenevano, grazie a pratiche arcane che richiedevano l’uso dei materiali più disparati: uteri bovini, zolfo, magneti, sangue animale e sperma recuperato in loco (preferibilmente, proprio quello dell’alchimista).4

Si narra che Alberto Magno, vescovo bavarese del XIII secolo poi canonizzato, avesse costruito una statua di metallo dotata di ragione e di favella.



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