Filosofia della commedia di Dante - II Purgatorio by Franco Ricordi

Filosofia della commedia di Dante - II Purgatorio by Franco Ricordi

autore:Franco Ricordi [Ricordi, Franco]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Mimesis Edizioni
pubblicato: 2020-05-19T14:35:34+00:00


Canto XVII

Il centro della Commedia: la Pace; l’Amore e il dramma universale

E con questo canto entriamo nel centro esatto della Commedia, a metà della seconda cantica o secondo regno, dunque “nel bel mezzo” di questo viaggio straordinario. Lo si potrebbe chiamare viaggio metafisico, per come effettivamente Dante riesca a condurci insieme a lui e a farci provare le sue stesse emozioni in un mondo che “non conosciamo”, pur sapendo che si tratti di finzione e non realtà. Tuttavia la preoccupazione del poeta è sempre quella di rendere verosimile il suo cammino, quindi costringerci a pensare come tutto fosse vero, facendo riferimento sempre a sensazioni e ambientazioni terrene. Qui, ad esempio, siamo appena usciti da un buio fumo d’inferno, e sembra si ricominci ad intravedere una luce invitante, diradante, con Turner sempre in prima fila nella nostra fantasia. Non di meno, noi lettori a cavallo tra il XX e il XXI secolo, siamo toccati da una descrizione che sembra coglierci nelle nostre peripezie stradali o autostradali nell’alta Italia, quando dalla pianura padana in su saremo stati colti da quelle nebbie, con annesso rischio di scarsa visibilità, tamponamenti e incidenti vari. Anche in questo senso geografico Dante, pur nel viaggio metafisico, ci rende un nord Italia decisamente concreto:

Ricorditi, lettor, se mai nell’alpe

ti colse nebbia per la qual vedessi

non altrimenti che per pelle talpe,

come, quando i vapori umidi e spessi

a diradar cominciansi, la spera

del sol debilemente entra per essi;

e fia la tua imagine leggera

in giugnere a veder com’io rividi

lo sole in pria, che già nel corcar era.

Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi

del mio maestro, uscì fuor di tal nube

ai raggi morti già ne’ bassi lidi. (1/12)

Bellissima e realistica questa “uscita” dal canto precedente, dove il senso dell’ira è stato dipinto e percepito più dal punto di vista scenografico che non dal carattere del protagonista, Marco Lombardo. E Dante in questo caso non ha più di tanto provato, non è dovuto sottostare ad una pena analoga a quella dei vizi già incontrati per i superbi e gli invidiosi, tranne il fatto di doversi tenere stretto a Virgilio, ascoltare le preghiere tanto più mansuete degli iracondi, e porre attenzione ai passi falsi. Ora, superato il “fumo dell’ira”, Dante entrerà nel girone dell’accidia. Si noti, all’inizio, il riferimento alle “pelle di talpe”, ovvero alla scarsa vista che ancor oggi attribuiamo a tali animali (si pensava fosse una pellicola sugli occhi). E di conseguenza l’uscita lenta della luce, che riprende quello “albor” che si era visto alla fine dell’ultimo canto; così la tua immaginazione (imagine) facilmente si avvedrà di come io vidi di nuovo, tra questi vapori umidi, il sole che tramontava (al corcar era), cui corrispondono ormai raggi assai deboli. In questa maniera, tenendo il passo al suo maestro, Dante descrive la sua uscita da quelle nebbie che potremmo pensare abbia visto più volte nell’Appennino tosco-romagnolo.

O imaginativa che ne rube

talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge

perché dintorno suonin mille tube,

chi move te, se ’l senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s’informa,

per sé o per voler che già lo scorge.



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