La fisarmonica verde by Andrea Satta

La fisarmonica verde by Andrea Satta

autore:Andrea Satta [Satta, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2021-12-03T12:00:00+00:00


8

La pineta

Anche dopo aver superato Innsbruck il paesaggio è verdissimo. Distese di alberi, soprattutto pini: posso guardarli solo con la coda dell’occhio, ma ancora una volta mi sorprendo di quanto siano diversi i pini di montagna da quelli marittimi. Così alti e affusolati, i primi, e così ampi, come ombrelli protettivi, quelli della mia infanzia.

«Per capire meglio tuo nonno, dovrei raccontarti della pineta» dico allora, perché collegare i ricordi ai pini marittimi, per me, è questione di un attimo.

«Quella di Ostia?» risponde Lao senza voltarsi.

«Sì, proprio quella.»

«Perché, cos’è successo?»

Tantissime cose, penso tra me, e mentre continuo a guidare inizia questo racconto nel racconto, di com’era rimasto arcaico, fedele alle sue origini, Gavino.

La pineta oggi mi sembra un universo in miniatura, quand’ero piccolo invece era una foresta africana. Gli alberi altissimi, il castello in lontananza.

La conoscevo bene perché, finita la guerra, papà era diventato professore di francese alle scuole medie e, per farci sentire in vacanza, ci portava lì e faceva il pendolare.

Già, perché Gavino insegnava a Roma e partiva da Ostia Antica negli ultimi giorni dell’anno scolastico, quando noi delle elementari eravamo già in vacanza, diretto in città con il treno bianco e azzurro, correggeva i compiti seduto sui sedili di legno e solo quando era in fondo alla pineta, ormai quasi alla stazione, si voltava per salutarmi. Aspettavo fino all’ultimo quel gesto, che voleva dire: “Vado e torno, ti porto nel cuore”. Mio padre era un certo tipo di professore. Per ottenere il silenzio in classe non urlava cercando di superare, con la sua, la voce degli alunni, quando tutti insieme facevano un chiasso che non era certo possibile domare. Parlava a voce bassa, calma, ferma e questo atteggiamento riportava tutti i ragazzi a un altro clima. Era accogliente, ma manteneva sempre un distacco “d’altri tempi”. I suoi voti andavano dal cinque al sette. Non aveva senso, per lui, umiliare un alunno con un votaccio, né esaltarlo con una valutazione stupefacente e poi, alla fine dell’anno, tutti almeno al sei dovevano arrivare. In fondo, se al termine del corso di studi un ragazzo non raggiunge la sufficienza, molta responsabilità è dell’insegnante.

A Ostia Antica gli aghi ricoprivano ogni angolo della pineta, colore su colore. Solo ogni tanto ce n’era qualcuno più verde, caduto lì per sbaglio, qualche altro più giovane e immaturo, tenero e chiaro, resinoso. Noi li cercavamo e li univamo tra loro creando collane, cornici, disegni sul cemento del cortile, ogni estate per cento pomeriggi. Tutto il resto, sotto i pini, era un crepitio di passi, immersi in quel mondo che andava dal rosso scuro al marrone intenso.

Se tu vivi con le cicale tutto il giorno, dal primo giugno al trenta settembre, e con i grilli, da quando cala il buio in poi, sei sempre nella musica e non concepisci più il silenzio. Il silenzio è quando non parla nessuno, ma tutto il resto canta.

A squarciare quel silenzio arrivavano, nel cuore dell’estate, gli zingari con le giostre, e le canzoni famose di quegli anni invadevano il cortile sotto i pini.



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