Il Barone Rampante by Italo Calvino

Il Barone Rampante by Italo Calvino

autore:Italo Calvino
La lingua: it
Format: mobi, epub
pubblicato: 2012-01-10T23:00:00+00:00


XV

Fu in quel tempo che, frequentando il Cavalier Avvocato, Cosimo s’accorse di qualcosa di strano nel suo contegno, o meglio di diverso dal solito, più strano o meno strano che fosse. Come se la sua aria assorta non venisse più da svagatezza, ma da un pensiero fìsso che lo dominava. I momenti in cui si mostrava ciarliero adesso erano più frequenti, e se una volta, insocievole com’era, non metteva mai piede in città, ora invece era sempre al porto, nei crocchi o seduto sugli spalti coi vecchi patroni e marinai, a commentare gli arrivi e le partenze dei battelli o le malefatte dei pirati.

Al largo delle nostre coste si spingevano ancora le feluche dei pirati di Barberia, molestando i nostri traffici. Era una pirateria da poco, ormai, non più come ai tempi in cui a incontrare i pirati si finiva schiavi a Tunisi o ad Algeri o ci si rimetteva naso e orecchi. Adesso, quando i Maomettani riuscivano a raggiungere una tartana d’Ombrosa, si prendevano il carico: barili di baccalà, forme di cacio olandese, balle di cotone, e via. Alle volte i nostri erano più svelti, gli sfuggivano, tiravano un colpo di spingarda contro le alberature della feluca; e i Barbareschi rispondevano sputando, facendo brutti gesti e urlacci.

Insomma, era una pirateria alla buona, che continuava per via di certi crediti che i Pascià di quei paesi pretendevano di dover esigere dai nostri negozianti e armatori, non essendo - a sentir loro - stati serviti bene in qualche fornitura, o addirittura truffati. E così cercavano di saldare il conto a poco a poco a forza di ruberie, ma nello stesso tempo continuavano le trattative commerciali, con continue contestazioni e patteggiamenti. Non c’era dunque interesse né da una parte né dall’altra a farsi degli sgarbi definitivi; e la navigazione era piena d’incertezze e di rischi, che mai però degeneravano in tragedie.

La storia che ora riferirò fu narrata da Cosimo in molte versioni differenti: mi terrò a quella più ricca di particolari e meno illogica. Se pur è certo che mio fratello raccontando le sue avventure ci ag- giungeva molto di sua testa, io, in mancanza d’altre fonti, cerco sempre di tenermi alla lettera di quel che lui diceva.

Dunque, una volta Cosimo, che facendo la guardia per gli incendi aveva preso l’abitudine di svegliarsi nella notte, vide un lume che scendeva nella valle. Lo seguì, silenzioso per i rami coi suoi passi da gatto, e vide Enea Silvio Carrega che camminava lesto lesto, col fez e la zimarra, reggendo una lanterna.

Cosa faceva in giro a quell’ora il Cavalier Avvocato, che era solito andare a letto con le galline? Cosimo gli andò dietro. Stava attento a non far rumore, pur sapendo che lo zio, quando camminava così infervorato, era come sordo e vedeva solo a un palmo dai suoi piedi.

Per mulattiere e scorciatoie il Cavalier Avvocato giunse sulla riva del mare, in un tratto di spiaggia sassosa, e prese ad agitare la lanterna. Non c’era luna, nel mare non si riusciva a veder nulla, tranne un muovere di spuma delle onde più vicine.



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