Sebben che siamo donne... by Luisa Adorno

Sebben che siamo donne... by Luisa Adorno

autore:Luisa Adorno [Adorno, Luisa]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788838915130
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 1999-04-28T22:00:00+00:00


Ma dov’è Dario quando noi usciamo sole di sera per andare al «teatro a purga»? Veramente non sempre siamo sole, ché a volte vengono irretiti nell’ordine di zio ragazzi con cui siamo cresciute, sempre allo stabilimento «dove gli ombrelloni sono più radi e il pubblico selezionato», che vengono a chiamarci ogni sera per vagare lungo la passeggiata a mare illuminata come di giorno, i negozi aperti fino a notte fonda e la gente tutta lì, su e giù, dal Select al molo, o seduta ai caffè, o a ballare con le orchestrine.

E Grazia in piedi su una panchina ama scrutare sulla terrazza del Royal, fra i grandi paralumi liberty, il fluttuare negli abiti da sera delle signore «sotto tutte nude» finché «Felici loro!» esclama saltando giù, rassegnata.

Dario, ormai padrone di due lingue, è entrato all’Accademia Navale, ma ancora una cosa il padre gli ha imposto: il corredo richiesto ha dovuto portarlo, invece che in una valigia, annodato in un fazzoletto da spesa, di quelli grandi, comuni, a quadri grigi e blu. «“Al mio paese i marinai poveri s’imbarcano così” dirai a chi ti chiede il perché».

In compenso, quattro anni dopo, quando il corso finisce, staccherà dal muro il quadro con una spallina di Nazario Sauro, dedicata a lui dalla moglie un tempo sua paziente, aggiungerà un’altra dedica e lo regalerà all’Accademia.

Ma allora la guerra è già scoppiata e lui, abbandonato ogni autocontrollo, sia pure all’inglese, ha già gridato «Aveva ragione il mio amico Dello Sbarba», peraltro mai prima nominato, «quando diceva “Naufragheremo in un oceano di merda!”». Frase che via via ripeterà lasciandoci per sempre con la curiosità di sapere in quale precedente occasione, e quindi con maggior merito di veggente, quel Dello Sbarba l’avesse profferita.

A parte l’assenza degli stranieri, la vita in casa, almeno nei primi anni, resta la stessa. Forse più raccolta, più concentrata nelle abitudini, a esorcizzare il timore di doverle cambiare.

A tavola siamo in pochi: manca anche la piccola nonna vestita di nero, scomparsa insieme agli ospiti stranieri, come se li avesse seguiti per convincerli a parlare più chiaro.

Il finestrino del passa-vivande inquadra ancora il volto pienotto della cuoca mentre passa a Jolanda i vassoi che questa fa girare intorno alla tavola volando. «Jollanda!» scherza mio zio nei momenti di distensione, imitandole la parlata carrarina «Subito e caldo caldo!» che è il suo modo familiare di ordinare il caffè.

Dai grandi alberghi ora lo chiamano solo per anziani ospiti tedeschi, e lui passa ore a studiare lo spagnolo, i pugni alle tempie, sulla terrazza o a livello dell’abbaino.

Noi ormai siamo all’università, abbiamo tutte e due un fidanzato lontano per il quale non riusciamo a preoccuparci, continuiamo a inforcare le biciclette e a fare vita di mare con gli stessi amici, uno stretto di petto, l’altro un po’ sordo per questo felicemente riformati. Usciamo la sera sul lungomare senza luci, andiamo ogni tanto a teatro non più «a purga», spesso al cinema, limitandoci a tacerne a tavola per non sottolineare la sconfitta dei genitori. Sul ballo invece hanno vinto: siamo cresciute senza e ora non ne sentiamo nemmeno la mancanza.



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