915. La battaglia del Garigliano by Marco Di Branco;

915. La battaglia del Garigliano by Marco Di Branco;

autore:Marco, Di Branco; [Di Branco, Marco ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Biblioteca storica
ISBN: 9788815353184
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2019-08-15T00:00:00+00:00


3. Attacchi e «complotti»: Roma 876

Nell’anno della riconquista bizantina di Bari, torna a essere obiettivo di incursioni musulmane la città di Roma, a esattamente trent’anni di distanza dall’attacco dell’846. Il dossier relativo a tali eventi è costituito da sei epistole di papa Giovanni VIII[110]; dagli atti di un sinodo tenutosi a Roma il 30 giugno dell’876[111], da due breve accenni di Erchemperto[112] e del Chronicon episcoporum Neapolitanorum[113], da un’annotazione degli Annales Bertiniani[114] e da un lungo passo del Chronicon del monaco Benedetto di Sant’Andrea del Soratte[115].

La prima epistola del pontefice è datata 21 aprile 876 ed è una relazione ai prelati di Gallia e Germania concernente le decisioni del sinodo tenutosi a Roma due giorni prima «de Formoso episcopo Portuensi, de Gregorio nomenculatore eorumque complicibus».

Nella lettera, Giovanni accusa esplicitamente il nomenculator Gregorio e il suo genero Giorgio di avere grande familiarità con i «Saraceni» e di volerli invitare a Roma «ad perditione omnium»[116].

Complici di questa congiura sarebbero stati il vescovo di Porto Formoso, il secundicerius Stefano, il magister militum Sergio e il figlio di Gregorio, Costantino[117]. Se Formoso, futuro pontefice, è ovviamente ben noto, meno conosciuti, ma non privi di rilevanza, sono gli altri personaggi implicati nell’affaire: in particolare, Gregorio e Giorgio appartengono a due potenti famiglie romane: Giorgio, anche detto «Georgius de Aventino», è figlio di un Gregorio, che aveva esercitato in passato la carica di primicerius, e marito di una figlia del nomenculator Gregorio[118], a sua volta figlio di un Teofilatto, anch’egli nomenculator[119]. Suocero e genero furono spesso inviati in qualità di rappresentanti del papa presso l’imperatore Ludovico II[120]. Non meno importante appare il rango del magister militum Sergio, figlio del magister militum Teodoro[121]. Secondo Giovanni VIII, costoro, cospirando contra salutem rei publicae e contro l’imperatore, depredato il Laterano ed altre chiese, aprirono di notte con chiavi false Porta San Pancrazio e fuggirono a cercare rifugio nello Spoletano. Ciò diede modo al papa di accusarli d’aver voluto lasciare la città nelle mani dei «Saraceni»[122]. Alleati dei margravi di Camerino e di Adalberto di Toscana, li vedremo ricomparire sotto la loro protezione. Il pontefice allude velatamente a questi stessi eventi in un’altra epistola, datata 14 novembre 876, che ha come destinatario l’imperatore Carlo il Calvo; qui però scompare l’accusa di aver voluto favorire i musulmani[123].

Altre quattro lettere di Giovanni VIII, scritte tra il settembre e il novembre dell’876, fanno invece riferimento a una nuova minaccia «saracena» incombente su Roma: in tali scritti, infatti, il pontefice chiede aiuto al comes di Provenza Boso[124] e allo stesso Carlo il Calvo[125], supplicandoli di inviare velocemente un’armata a difesa del litorale laziale, avendo egli appreso da fonti attendibili («certa relatione») che si stava avvicinando una grande flotta di cento navi «ad expugnandam Urbem»[126].

Gli accorati appelli del pontefice restano inascoltati e, stando alle descrizioni di Giovanni VIII, la campagna romana è abbandonata ai saccheggi di bande musulmane che si spingono spesso «usque ad muros Urbis»[127].

L’elemento più interessante di questo dossier, che è stato studiato nei dettagli da Kordula Wolf[128], risiede nell’accusa di «filosaracenismo» mossa



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