Il canto dei cuori ribelli by Thrity Umrigar

Il canto dei cuori ribelli by Thrity Umrigar

autore:Thrity Umrigar [Umrigar, Thrity]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Libreria Pienogiorno
pubblicato: 2024-05-15T00:00:00+00:00


20

Meena

Due giorni dopo che Abdul mi aveva regalato i manghi, misi da parte un laddu per lui. Non lo riposi nella gamella, ma lo avvolsi in carta di giornale e lo portai separatamente.

All’ora di pranzo, infilai il dolce di ceci in tasca e andai al solito posto sotto l’albero. Radha era ancora malata, quindi ero sola. Mi sedetti dando le spalle ad Abdul, ma sentivo bruciare la nuca perché percepivo i suoi occhi fissi su di me. Dopo aver finito di mangiare, mi avvicinai. Lui si alzò in piedi immediatamente. Posai l’involto con il dolce per terra accanto al suo albero.

«Per la sua gentilezza», dissi al tronco, continuando a dargli la schiena. «I manghi erano dolcissimi».

Lui rispose qualcosa ma il sangue che mi rombava nelle orecchie mi impedì di udire le sue parole. Tornai a passo svelto dentro la fabbrica. La vecchia seduta alla macchina per cucire accanto a me vide il sudore sulla mia faccia.

«Ae, chokri», mi disse. «Ti stai ammalando?»

Non aveva idea di quanto ci avesse azzeccato. Ero malata, ma era una malattia del cuore.

Dopo che gli ebbi regalato il laddu, Abdul e io cominciammo a trovare il modo di parlare senza parole. Certe volte mentre lavorava cantava una canzone d’amore che io sapevo era rivolta a me. Certe volte lasciavo cadere per terra un cioccolatino fra i nostri due alberi mentre rientravo dopo pranzo. Quando Abdul tornava al suo posto, scartava il cioccolatino e se lo metteva in bocca, lanciandomi un’occhiata furtiva. E tutte le sere tornava a casa dietro di me, stando ben attendo a mantenere le dovute distanze.

Poi un giorno, mentre uscivo dal bagno esterno, lo trovai ad aspettarmi. Mentre gli passavo accanto finse di allacciarsi una scarpa.

«Sabato prossimo faccio gli straordinari», sussurrò. «Magari puoi chiedere di farli anche tu?»

Feci richiesta il giorno stesso.

Quel sabato eravamo in pochi, così il caposquadra chiu-se metà del locale e ci fece andare tutti dall’altra parte. Mentre cercavamo un posto, Abdul si sedette alla macchina per cucire accanto alla mia. Non se ne accorse nessuno, tranne me.

All’inizio eravamo così eccitati di essere seduti vicini che continuavamo a scambiarci occhiate. Ma poi il lavoro ci assorbì, e fummo costretti a concentrarci. Il sudore ci colava sulla faccia, ma non potevamo interromperci per asciugarlo. Lavorai sei ore, con tutti i muscoli del corpo in tensione per il caldo e la paura. Il mio cuore cantava come una radiolina a transistor, e temevo che tutti lo sentissero ripetere il nome di Abdul. Ma quando alzai la testa, nessuno mi stava guardando. Erano tutti impegnati a finire la loro quota.

Quella sera mi incamminai con un gruppetto di altre donne, ma una dopo l’altra lasciarono la strada principale per tornare al loro villaggio. Quando rimasi sola, mi fermai e mi guardai alle spalle. Anche Abdul era solo. Si affrettò per raggiungermi, ma rimase sull’altro lato della strada, vicino al fosso. Da lì disse: «Ti chiami Meena! Lo so».

Il cuore mi batteva forte. Mi tirai la dupatta più vicino al viso.

«Io mi chiamo Abdul. Ricordi?»

Non risposi.



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