Magnificat Amour by Isabella Santacroce

Magnificat Amour by Isabella Santacroce

autore:Isabella Santacroce [Santacroce, Isabella]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2024-04-01T22:00:00+00:00


Dall’autobiografia «Verso Dio» di suor Annetta

Quel mattino che da poco l’aurora si era dissipata, sorreggevo Lucrezia ormai certa della giustezza d’essere soccorsa. Barcollava con indosso una veste a dir poco scandalosa, tanto che padre Nicola è sobbalzato nel guardarla così ignuda. Ho avuto l’accortezza di avvolgerla con un mantelletto cenerino, e non perché fosse sdegnato alla sua vista, aveva bensì certi occhi che è mia speranza Dio non abbia scorto.

Giunte nella mia stanzetta, seppur rimproverata da suor Assunta per quell’intrusione non permessa, ho seguitato a medicarla, affinché si sanasse dagli eccessi da cui ancora era posseduta.

Le ho poggiato sulla fronte un panno fresco, con grazia l’ho aiutata a sorbire limonata per farla liberare, e poco dopo i suoi conati mi han raggiunta, facendomi posare le mani sulle orecchie per non intirizzire.

Povera ragazza smarrita anche a se stessa, non vidi in lei una dissoluta, e quando suor Assunta inviperita ha avuto l’ardir di giudicarla ottenebrata, rivolgendole uno sguardo disprezzante, me ne sono sdegnata come di un’empietà da condannare.

Nulla Lucrezia ha mai saputo di tanta cattiveria, esangue e assopita, di un angioletto che ha perduto le sue ali aveva le sembianze. Riverberava sul suo volto la luce del primo pomeriggio, le membra abbandonate sul bianco del lenzuolo che pareva il suo sudario. Un sentimento mi coglieva rimirandola, e in lei rileggevo la mia storia. Di quando giovinetta m’ero scompigliata l’anima seguendo impervie vie non innocenti, accompagnata da amicizie disoneste. Rassomigliavo a una pianta erbacea selvaggia e scolorita. La radiazione luminosa del Signore rinnegavo, sensibile e morbosa da straordinarie commozioni, che di me avevano per sempre stravolto ogni purezza.

Ne porto ancora le ferite, di violenze ne ho contate almeno mille, le guarivo compiendo nefandezze, nutrendomi di vino fino a perder la ragione, e colma dei suoi fumi, mi concedevo a sconosciuti dei quali non rimembravo le fattezze.

Narrare come ha potuto la fanciulla retta e savia ch’ero stata, divenire visitata dal perverso, ancor oggi mi è mistero decifrarlo. Il mutamento avvenne adagio, quasi io non me accorsi, fino a quando mi ridussi in salma viva ma di morte.

Era come avessi un malevolo padrone a comandarmi perdizione, cui obbedivo per non trovar castigo, i miei occhi supplici rivolti verso lui per soggezione, la schiavitù dai vizi per averne lodi.

Contesa fra tristezze e alterazioni, accerchiata da ombre prepotenti, così era Lucrezia quando riversa la curavo. In lei scorgevo la tirannia della tenebra allestitrice di lusinghe e inganni domandarmi se avessi serbato il suo ricordo, e allora impavida e senza alcuno indugio, ho impugnato la Sacra Croce facendone una spada.

Combattimento ardente, io sua incorrotta vincitrice.

Del bene sia lodato lo splendore, astro sibillino.



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