Un mondo raro. Vita e incanto di Chavela Vargas by Antonio Di Martino & Fabrizio Cammarata

Un mondo raro. Vita e incanto di Chavela Vargas by Antonio Di Martino & Fabrizio Cammarata

autore:Antonio Di Martino & Fabrizio Cammarata [Martino, Antonio Di & Cammarata, Fabrizio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2017-05-14T22:00:00+00:00


12 Tutti mi chiamano “il nero”, Llorona, / nero però affettuoso. / Io sono come il peperoncino verde, Lorona, / piccante, però saporito.

13.

Costa Rica, 1932

Isabel rimase immobile, a un palmo di mano dalla porta sbarrata della chiesa, fissando il legno ammuffito. Le crepe del portone sembravano le vene di un mostro nero che le aveva appena succhiato un po’ di umanità. Dall’interno della chiesa si sentivano i canti dell’omelia appena iniziata e la voce stridula del prete primeggiava su quella dei coristi. Sulla piccola piazza cominciò a piovere a dirotto, Isabel si sedette sulla ghiaia, sotto la statua che riproduceva il Cristo Negro di Esquipulas. Non le importava della pioggia, rimase lì per tutta la durata della funzione a bagnarsi accanto a quel Cristo negro lanciando sassolini contro un pezzo di bottiglia. Avrebbe voluto prendere quel pezzo di vetro, spalancare con un calcio il vecchio portone della chiesa e correre dritto verso la gola di quel farabutto. Quando finì la funzione la gente le passò accanto senza dire nulla, nell’aria si era liberato un forte odore d’incenso e terra bagnata. Le si avvicinò suo zio porgendole la mano:

“Forza... andiamo a casa Isabelita.”

Ma lei non si mosse e non lo guardò neanche. Rimase, seduta sulla ghiaia, fradicia, con la camicia bianca che lasciava trasparire tutta la fragilità di un soldato appena congedato dalla sconfitta.

Nei giorni successivi nessuno parlò più dell’accaduto, la ragazza coi pantaloni, la rara, non si faceva vedere più la domenica a messa. Quando non raccoglieva le arance passava gran parte del tempo sugli alberi, quello era un regno in cui era ben accetta. Il regno degli alberi era multiforme: c’erano i platani, i manghi e le ceibe giganti, piante secolari sulle quali si sentiva al sicuro. C’erano uccelli enormi che emettevano versi di bambini e ogni tanto si vedevano piume coloratissime volteggiare lentamente tra i rami, planando su piccoli ruscelli.

A un uccello in particolare si era affezionata Isabel, la gente del posto lo chiamava Quetzal splendente ed era una specie rara. Aveva un piccolissimo becco giallo che quasi si perdeva nella peluria verde smeraldo e due occhi neri grandi. Si diceva che quell’uccello si sarebbe lasciato morire di fame se qualcuno lo avesse imprigionato. Isabel lo guardava volteggiare tra i platani con ammirazione, sentiva un legame segreto con quell’animale, lo capiva.

In una solitudine vasta quanto una foresta intera, passava le ore a improvvisare canti e melodie, a nutrirsi delle energie che quel luogo conservava. Ogni tanto andava a trovare un gruppo di sciamani e si univa ai loro riti. Era affascinata dalla loro serenità e purezza, a qualcuno raccontò di quella volta che le salvarono la vista.

Non passarono molti giorni e un tardo pomeriggio, senza dire niente a nessuno, se ne andò dalla finca dello zio, con ancora addosso i vestiti da lavoro. Attraversò il campo d’arance fino alla strada asfaltata che portava fuori dal villaggio e camminò un paio d’ore. Si sentiva invisibile, attraversava i campi come i fantasmi attraversano i muri.



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