Yellow Birds by Kevin Powers

Yellow Birds by Kevin Powers

autore:Kevin Powers [Powers, Kevin]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2014-05-05T22:00:00+00:00


7.

Agosto 2005

Richmond, Virginia

Quella primavera, giorni e settimane intere se ne andarono in sonni che sfociavano nel pomeriggio, senza mai vedere un’anima. Mi svegliavo a intervalli irregolari, sentendo lo scuolabus che in strada caricava e scaricava bambini di classi ed età diverse, comunicandomi l’ora in base al timbro più o meno acuto del chiacchiericcio.

Ero deperito più di quanto ci si potesse aspettare, nel breve periodo trascorso a casa. L’unico movimento che facevo, ogni pomeriggio appena sveglio, era il tragitto andata e ritorno per comprare una cassa di birra al G.W.’s. Evitavo le strade, optando invece per i binari del treno che passavano accanto a casa nostra, oltre un lungo terrapieno. La volta d’alberi faceva ombra e tra i rami verdi scendeva una luce brusca. Il calore si era raccolto per tutta la primavera, tramutandosi nella densa penombra che accompagnava il percorso recintato della ferrovia. Un calore atlantico: afoso, fitto di zanzare. Molto diverso da quello di Al Tafar, che aveva il sorprendente potere di ridurti in lacrime nel giro di un istante, dopo che già ti arrostiva da ore. Questo era un calore in un certo senso più americano: ti investiva di colpo, appena ci entravi. Il fiato ti si scaldava in modo insopportabile, e avevi l’impressione di doverti fare strada con la forza, come un nuotatore.

A volte, arrivato all’altezza del G.W.’s, aspettavo al di qua della palizzata finché anche la coda arrugginita del vecchio furgone di passaggio non avesse svoltato in fondo alla via, dopodiché superavo lo scampanellio della porta attraversando la scia di polvere che si era lasciato dietro. Non so spiegare cosa fosse quella sensazione. Vergogna, credo. Ma non solo. Era qualcosa di più preciso. Chiunque può provare vergogna. Mi ricordo seduto lì per terra, sotto cespugli abbandonati e cresciuti troppo, terrorizzato all’idea di dovermi mostrare per quel che ero diventato. E non è che da quelle parti mi conoscessero, ma io sentivo che se avessi incontrato qualcuno, chiunque, quella persona avrebbe intuito la mia infamia, e subito mi avrebbe giudicato. Niente ti isola più dell’avere una certa storia. Almeno questo era ciò che pensavo. Ora lo so: il dolore è tutto uguale, cambiano solo i dettagli.

Tornato a casa, con la camicia inzuppata di sudore e anche lì irrigidita dal sale, riponevo le birre nell’armadio, dopodiché andavo in cucina, dove a lungo mi fermavo a guardare dalla finestra la foschia che si alzava dal laghetto. Non volevo lasciare altre prove della mia esistenza al di là di qualche impronta di piedi umida sul pavimento della modesta cucina rustica di mia madre. Guardando fuori dalla finestra, vedevo la strada e la ferrovia, e dietro quella il bosco. Oltre il bosco, la contea di cui faceva parte. E così via, finché tutto non si dissolveva nel quadro più grande: la casa di mia madre diventava qualsiasi altra casa come un tempo l’avevo vista, inerpicata in cima al versante meridionale di un’ampia valle solcata da un fiume, abbastanza vicina alle montagne perché a cicli di qualche anno un orso nero impaurito



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