1935 - 1943, La fabbrica della sconfitta by Baroni Piero

1935 - 1943, La fabbrica della sconfitta by Baroni Piero

autore:Baroni, Piero [Baroni, Piero]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Italia, Seconda guerra mondiale
pubblicato: 2015-03-05T23:00:00+00:00


Secondo - Il documento del génerale Dallolio si conclude con un paragrafo intitolato “dopo la guerra”:

“E innegabile che dopo la guerra ci sarà un prodigioso risveglio dell’industria. Deve l’Italia assistere passivamente agli sforzi che tutti gli Stati vorranno e dovranno fare per mettere in valore ciò che la guerra ha distrutto? (...) L’essenziale è non essere mai né sorpresi né rimorchiati”.

Indubbiamente la condizione del comparto industriale strategico risente particolarmente dei vincoli imposti da una guerra in un quadro politico-geografico, con i mezzi di trasporto e di comunicazione della prima metà del ventesimo secolo e - nel caso in esame - di quello esistente tra il 1915 e il 1918. Durante la guerra, quindi, la produzione non risentiva delle leggi di mercato; utili e salari erano garantiti; inesistente, di fatto, la concorrenza. Da una situazione del genere non appena scoppiata la pace si doveva passare a una condizione totalmente diversa: riconversione, ricostruzione, concorrenza, mercati esteri condizionati da dazi, norme protezionistiche, contingentamenti, clausole varie, tra cui quella della nazione favorita, dumping, etc. Il generale Dallolio il 26 novembre 1916 durante la riunione plenaria del comitato centrale per la mobilitazione industriale esprimeva il convincimento sulla necessità di predisporre “un vero e proprio piano di mobilitazione industriale”che consentisse “di trasformare l’industria del regime di guerra a quello di pace, senza scosse brusche e pericolose”.

Il pensiero del generale suscitò un vivace e ampio dibattito che si sviluppò negli ambienti industriali e sindacali: libertà di organizzazione sindacale e di sciopero, protezionismo doganale, autonomia imprenditoriale, libero scambio, intervento statale... L’obiettivo delle presenti note esula dalle argomentazioni del dibattito cui si è fatto cenno. Semmai si intende affermare l’esigenza di una industria strategica proporzionale agli obiettivi della politica estera, proprio per evitare quello che il generale Dallolio affermò nel 1915: l’imprescindibile esigenza di “non essere mai né sorpresi né rimorchiati”. Non era solo una bella frase ad effetto.

Tornando al tema della ricerca, converrà riflettere sulla ragione sociale di alcune delle industrie citate nel documento Dallolio: Vickers-Terni, Westinghouse di Torino, Franchi-Griffin, AnsaldoSchneider, Armstrong di Pozzuoli, Stigler, Langer & Wolf...

I difetti di origine nel campo della mentalità non vennero estirpati. Con il tempo si accentuò la burocratizzazione a detrimento dell’inventiva, dell’efficienza, dell’indice di produttività. La mobilitazione industriale intesa come capacità di sostenere lo sforzo bellico nel numero e nella qualità, di fornire mezzi idonei, affidabili, efficaci, una mobilitazione basata su una programmazione precostituita, elemento strategico essenziale pregiudiziale, prioritario, non venne neppure lontanamente pensata. Dalle esperienze del primo conflitto mondiale non si trasse alcun insegnamento. Andarono perdute le intuizioni emerse sotto la spinta dei drammatici eventi dell’autunno 1917, non si tennero in alcun conto le proposte degli osservatori incaricati proprio di raccogliere informazioni, di fornire testimonianze su quanto realizzavano gli eserciti più avanzati e con disponibilità finanziarie maggiori, di seguire gli sviluppi e le evoluzioni nel campo degli armamenti e degli ordinamenti.

Nel settore dei carri armati all’interno stesso dell’esercito, si doveva registrare l’assenza di capiscuola. Vi erano dei fautori, si potrebbe addirittura dire che vi erano dei tifosi, ininfluenti rispetto alla questione nella sua globalità e nel suo procedere lentissimo e tecnicamente scadente.



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