Abbaiare Stanca by Daniel Pennac

Abbaiare Stanca by Daniel Pennac

autore:Daniel Pennac [Pennac, Daniel]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
pubblicato: 2011-12-15T07:42:17+00:00


nero, snello, morbido e placido, tracciava con gli unghioli un grazioso disegno sulla sabbia che circondava una tomba di porfido rosa decorata con piume di uccello.

Piume che Il Cane riconobbe immediatamente.

«Eh» disse lo Ienoso, «di giorno sono gli uomini che vigilano e abbelliscono il nostro cimitero, ma di notte sono i gatti… E vigilano bene!» aggiunse indicando con un cenno della testa due occhi gialli che, non molto lontani da loro, li fissavano nell’oscurità senza batter ciglio.

Alla porta del cimitero, appena a destra entrando, si ergeva la tomba fiorita di un cane solitario, senza padrone, che aveva scelto di venire a riposare qui, nel cimitero dei cani felici.

Il Cane volle fare un altro giro. Lo Ienoso lo accontentò. Il Cane volle che lo Ienoso gli leggesse di nuovo i nomi incisi sulle tombe. Lo Ienoso rifece l’appello di tutti i cani del cimitero. Il Cane volle ascoltare ancora una volta gli epitaffi. Lo Ienoso tornò a recitarli. Il Cane volle fare un terzo giro. Lo Ienoso rifiutò.

«No» disse, «torniamo a casa».

Si diressero verso l’uscita. In silenzio. ‘Gli uomini sono veramente imprevedibili!’.

Così, più o meno, pensava Il Cane. ‘E i gatti, poi!’. Ecco, più o meno, quel che aggiungeva. Era incapace di pensare altro. Muto, confuso, sbigottito, come ipnotizzato, aveva l’impressione di camminare su una nuvola.

Raggiunsero il portone. E, a proposito di gatti, ce n’era uno seduto proprio là. La gatta egiziana di prima. Imitando lo Ienoso, Il Cane si sedette di fronte a lei. Allora, molto distintamente, l’Egiziana strizzò l’occhio, indicò con un cenno della testa un angolo del cimitero e s’incamminò a coda ritta, come fanno tutti i gatti all’ora del pasto.

«Seguiamola» disse lo Ienoso, «l’Italiano c’invita a cena».

27

L’Italiano era il capo di tutti i gatti del cimitero. Lo Ienoso lo conosceva da molto tempo. Erano amici. Lo chiamavano l’Italiano perché era il gatto preferito di un vecchio attore italiano, ricchissimo e raffinato, che nutriva i suoi gatti a salmone, fagiano e caviale russo. «Uno scandalo» mormoravano i vicini, «con tanta gente che muore di fame!». Ma la porta dell’attore era aperta a tutti, mentre quelle dei vicini erano piene di paletti e catenacci.

Di giorno l’Italiano viveva con l’Attore insieme all’Egiziana, l’Artista e la Rosi, i suoi tre amici. L’Artista era il gatto nero e morbido che poco prima stava decorando la tomba di porfido rosa. E quella tomba era la tomba della Rosi, una grossa, buona vecchia cagnona vagamente rosata, tenera come una balia, che aveva trascorso i suoi diciotto anni di vita con l’Attore. A furia di vivere, la Rosi aveva finito per non avere più fiato. Ogni giorno saliva le scale più lentamente, tirando fuori una lingua sempre più lunga. Riusciva appena appena a respirare. E poi una mattina, quando l’Italiano si era svegliato ed era andato a strofinarsi contro di lei facendo le fusa, la Rosi non aveva mosso la coda né arricciato il muso e neanche aperto un occhio. Aveva semplicemente smesso di respirare. Le era diventato troppo difficile.

Incredibile, quanto aveva pianto l’Attore!

«Tante lacrime



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