Andare per l'Italia degli intrighi by Fabio Isman;

Andare per l'Italia degli intrighi by Fabio Isman;

autore:Fabio, Isman; [Isman, Fabio ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Ritrovare l'Italia
ISBN: 9788815359131
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2020-08-15T00:00:00+00:00


6.

Genova, la fabbrica di Rossa

Dopo Moro, in Italia si pratica ancora di più il tiro al bersaglio. Se nel 1969 si contano 145 attentati e bombe, di cui 96 certamente della destra estrema, nel 1979 diventano 659, attribuiti a 269 diverse organizzazioni: quasi due al giorno. Sparano tutti: le Br e i loro simili (Prima linea e i Nap, nati dalle carceri); chi voleva semplicemente accreditarsi presso di loro, come la brigata XXVIII marzo, di Marco Barbone e altri “signorini” milanesi, che il 28 maggio 1980 dà il colpo di grazia al giornalista Walter Tobagi (Barbone si “pente” subito: un centinaio di arresti). E i neofascisti: i Nar, Terza posizione, Ordine nero e altri ancora.

A perdere le Br, e sembra quasi paradossale, sono le troppe richieste d’ammissione dopo il “successo” di via Fani: tante regole vanno in crisi. Poi, le rivelazioni dei “pentiti”: il primo è Patrizio Peci, arrestato a Torino il 20 febbraio 1980 insieme a Rocco Micaletto, uno del gruppo di fuoco a via Fani; l’anno dopo, le “nuove” Br gli uccideranno il fratello Roberto: una vendetta trasversale, al culmine di 54 giorni di prigionia. Infine, l’omicidio a sangue freddo, mai accaduto prima, di un sindacalista comunista: Guido Rossa, dell’Italsider di Genova, nel 1979. Il fenomeno del pentitismo deriva in buona misura da una legge del 1982, che prevede forti sconti di pena; e investe pesantemente anche l’ultradestra.

Rosy Bindi era assistente all’università di Vittorio Bachelet: una tra le infinite vittime delle Br, il 12 febbraio 1980 a Roma. In quel momento, stava al suo fianco: lo vede cadere, e subire il colpo di grazia da Bruno Seghetti. Dice: «Hanno ucciso le migliori intelligenze degli anni Settanta, i riformisti più acuti». Dopo lui, Ezio Tarantelli (1985), Roberto Ruffilli (1988), Massimo D’Antona (1999) e Marco Biagi (2002); c’erano già stati i giudici: anche Emilio Alessandrini (1979) e Guido Galli (1980), oltre a quelli vittime dei neofascisti. A parte Carlo Casalegno (il vicedirettore della «Stampa» colpito sotto casa il 16 novembre 1977, che muore tredici giorni dopo), soltanto feriti i giornalisti: Indro Montanelli, Emilio Rossi direttore del telegiornale, Vittorio Bruno; o altri, come Gino Giugni, il “padre” dello Statuto dei lavoratori.

Gli estremi episodi brigatisti sono disconosciuti dal “gruppo storico” in carcere; non c’è alcun progetto politico, resta soltanto quello delle armi. Un bilancio dell’infelice stagione si riassume in circa 20 mila inquisiti, e 4.200 in prigione. Di alcuni tra gli orribili delitti dei “neri”, non si è saputo mai nulla. Nemmeno i “pentiti” ne hanno parlato. Chi ha ucciso come un cane, per esempio, il 2 settembre 1980 a Roma, Maurizio Di Leo, tipografo del «Messaggero», scambiato per un giornalista che non gli somigliava affatto? Un volantino dei Nar, due giorni dopo, ammette l’errore. Quarant’anni più tardi, nemmeno un indizio. Quando torno al giornale, nell’androne saluto almeno il bassorilievo che gli è dedicato: troppi, che ormai sanno poco, vi passano davanti, senza nemmeno uno sguardo.

Parliamo però di Guido Rossa, classe 1934. Inizia a lavorare a Torino, a 14 anni. Ma era



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