Epidemia colposa? by (TPI. it) The Post Internazionale

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autore:(TPI. it) The Post Internazionale
La lingua: ita
Format: epub, mobi, azw3
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2020-05-19T12:00:00+00:00


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CORONAVIRUS, LAVORATORI FINITI IN TERAPIA INTENSIVA E GIOVANI RICATTATI: COSÌ LA DALMINE HA TENUTO APERTE ANCHE LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE NON ESSENZIALI

di Francesca Nava, 17 aprile 2020

Siamo alla vigilia della Fase 2 e la Lombardia ha proposto di far ripartire le attività produttive dal 4 maggio. Qui, dove i numeri di decessi per Covid-19 sono stati più alti che in qualsiasi altra parte del mondo, le fabbriche non si sono mai fermate del tutto. Ci si è aggrappati a qualunque cavillo che lasciasse spazio a una riapertura ante tempus, grazie alla meravigliosa narrazione per cui “l’essenziale per l’essenziale” potesse trasformare quasi ogni attività produttiva in necessaria e quindi titolata a svolgersi anche durante una pandemia globale. E proprio in Lombardia, oggi, si vuole solo guardare avanti, senza ancora avere analizzato, e compreso, le ragioni di questo triste primato.

Ecco perché, a titolo esemplificativo, vorremmo ricostruire quello che è successo e sta accadendo in queste settimane all’interno di una grande fabbrica bergamasca, simbolo dell’operosità tipica di questa terra, un’azienda strategica con oltre un secolo di storia alle spalle, una società siderurgica che produce tubi in acciaio per l’industria petrolifera e dove lavorano 1.300 persone suddivise in cinque reparti più gli uffici: “la Dalmine”, come la chiamano tutti a Bergamo. Ma andiamo con ordine.

Il 23 febbraio vengono accertati i primi casi di Covid-19 ad Alzano Lombardo. Quella stessa sera Bergamo ha la sua prima vittima di Coronavirus. Il giorno dopo viene sospesa ogni attività formativa alla Dalmine, ma la produzione va avanti. All’entrata della fabbrica c’è un cartello che dice: «Se avverti sintomi di infezione respiratoria e/o febbre non entrare nello stabilimento, ma torna immediatamente a casa e contatta il tuo medico curante».

Nella settimana dal 9 al 13 marzo molti lavoratori si assentano per malattia. La paura è tanta. Il reparto dell’acciaieria deve chiudere per mancanza di personale (si produce al 50 per cento delle possibilità) e anche per pressioni sindacali. Il 16 marzo si ammala di Covid-19 un primo lavoratore nel reparto FTM (Fabbrica Treno Medio). Finirà in terapia intensiva. Il giorno dopo si tiene una riunione in teleconferenza con i vertici aziendali, la RSU e i segretari provinciali di Fim, Fiom e Uilm per parlare delle misure di sicurezza, ma tra i lavoratori serpeggia molta preoccupazione. Le perplessità sono tante, per esempio – si legge nel comunicato sindacale – «sull’efficacia dell’utilizzo delle mascherine, sul problema degli assembramenti negli spogliatoi e sulla sanificazione delle varie aree».

Massimo Seghezzi lavora alla Dalmine come operaio da quasi vent’anni: «In acciaieria, che è il reparto più sindacalizzato,» ci racconta «la paura si sente, anche per questo ci hanno lasciato una settimana in più rispetto agli altri reparti prima di riprendere, perché la gente è più arrabbiata. Molti si chiedono: e se andando al lavoro poi porto a casa il virus?».

Chi lavora in fabbrica a Dalmine nei giorni del lockdown nazionale scrive su WhatsApp ai colleghi messaggi come questo: «Le misure di sicurezza messe in atto dall’azienda nelle scorse settimane per salvaguardare i lavoratori sono, a



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