Garibaldi by Luciano Bianciardi

Garibaldi by Luciano Bianciardi

autore:Luciano Bianciardi [Bianciardi, Luciano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Minimum Fax
pubblicato: 2020-09-21T22:00:00+00:00


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Da Palermo a Caprera

E veramente il generale, dopo le trionfali giornate di Palermo, confidava che presto il suo manipolo di prodi sarebbe diventato un robusto esercito. Così lo battezzò: esercito meridionale, anche se per adesso era formato da una sola scarna divisione, numerata come quindicesima, a significare che essa si aggiungeva alle quattordici dell’esercito piemontese. Dopo i fucili di Agnetta, altre armi giunsero nella capitale siciliana con la spedizione di Giacomo Medici. Il combattente del Vascello era infatti rimasto a Genova per arruolare altri uomini: salpando da Cornigliano e da Livorno ecco giungere duemilacinquecento nuovi volontari, vestiti da Cacciatori delle Alpi.

Medici era un ottimo ufficiale: mise subito le sue colonne in marcia lungo la costa settentrionale, verso Messina. Si sarebbero addestrati cammin facendo. Nino Bixio, dal canto suo, con una sparuta brigata – poco più di cinquecento uomini – mosse verso la costa meridionale, con meta Girgenti; avrebbe poi dovuto, dal sud, raggiungere Catania. Una terza colonna, al comando dell’ex giornalista colonnello Eber, si avviò verso l’interno, con meta Caltanissetta: anch’essa avrebbe poi puntato su Catania, per ricongiungersi con gli uomini di Bixio, e risalire insieme verso Messina. Nessun combattimento era previsto per queste due colonne, giacché i borbonici avevan forze soltanto nella munitissima Messina. Dovevano invece far sentire in tutta l’isola la presenza del nuovo stato di cose, arruolare volontari e, purtroppo, domare le insurrezioni contadine.

L’arrivo di Garibaldi, per i poveri villani, era parso un segno di tempi nuovi, di libertà non solo dal re ma anche dal padrone. Lo aveva capito subito il volontario Giuseppe Cesare Abba, che così ci racconta un colloquio con un frate, padre Carmelo:

«Io verrei con voi», dice il frate, e di certo interpreta il sentimento del suo popolo. «Io verrei con voi, se sapessi che farete qualcosa di grande davvero: ma ho parlato con molti dei vostri e non mi hanno saputo dire altro che volete unire l’Italia».

«Certo, per farne un solo grande popolo».

«Un solo territorio!... In quanto al popolo, solo o diviso, se soffre, soffre; ed io non so che vogliate farlo felice».

«Felice! Il popolo avrà libertà e scuole».

«E nient’altro!», interruppe il frate. «Perché la libertà non è pane, e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi piemontesi: per noi qui no».

«Dunque che ci vorrebbe per voi?»

«Una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori, grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa».

«Allora anche contro di voi frati, che avete conventi e terre dovunque sono case e campagne».

«Anche contro di noi; anzi, prima che contro d’ogni altro! Ma col Vangelo in mano e colla croce. Allora verrei! Così è troppo poco. Se io fossi Garibaldi, non mi troverei a quest’ora quasi con voi soli!»

«Ma le squadre?»

«E chi vi dice che non aspettino qualcosa di più?»

Infatti, in più luoghi, i contadini, oltre alle terre demaniali concesse per decreto di Garibaldi, occuparono anche quelle padronali. A Bronte, proprietà inglese – dei Nelson, nientemeno – l’occupazione fu accompagnata da una sommossa, e toccò a Nino il compito di reprimerla: ci furono sei fucilazioni.



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