Giambattista Vico - Principj Di Scienza Nuova by AN

Giambattista Vico - Principj Di Scienza Nuova by AN

autore:AN [AN]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Filosofia
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


; e così restaron detti nelle leggi romane, le quali dovettero parlare con tutta propietà come osserva Antonio Fabro nella Giurisprudenza papinianea. Lo che sopra si è altra volta ad altro fine osservato.

Laonde questo dee essere quello che, con quanto di buona fede, con altrettanta ignorazione delle romane antichità ch'egli scrive, dice Livio: che, se comunicati fussero da' nobili i connubi a'

plebei, ne nascerebbe la prole « secum ipsa discors», ch'è tanto dire quanto «mostro mescolato di due nature»: una, eroica, de' nobili; altra, ferina, d'essi plebei, che « agitabant connubia more ferarum»: il qual motto prese Livio da alcuno antico scrittor d'annali, e l'usò senza scienza, perocché egli il rapporta in senso: «se i nobili imparentassero co' plebei». Perché i plebei, in quel loro misero stato di quasi schiavi, nol potevano pretendere da' nobili, ma domandarono la ragione di contrarre nozze sollenni (ché tanto suona « connubium»): la qual ragione era solo de' nobili; ma, delle fiere, niuna spezie usa con altra di altra spezie. Talché è forza dire ch'egli fu un motto, col quale, in quella eroica contesa, i nobili volevano schernir i plebei, che, non avendo auspìci pubblici, i quali con la lor solennità facevano le nozze giuste, niuno di loro aveva padre certo (come in ragion romana restonne quella diffinizione, ch'ognun sa, che « nuptiæ demonstrant patrem»); talché, in sì fatta incertezza, i plebei si dicevan da' nobili ch'usassero con le loro madri, con le loro figliuole, come fanno le fiere.

Ma a Venere plebea furon attribuite le colombe, non già per significare svisceratezze amorose, ma perché sono, qual'Orazio le diffinisce, « degeneres», uccelli vili a petto dell'aquile (che lo stesso Orazio diffinisce « feroces»), e sì per significare ch'i plebei avevano auspìci privati o minori, a differenza di quelli dell'aquile e de' fulmini, ch'erano de' nobili e Varrone e Messala dissero «auspìci maggiori» ovvero «pubblici», de' quali erano dipendenze tutte le ragioni eroiche de'

nobili, come la storia romana apertamente lo ci conferma. Ma a Venere eroica, qual fu la « pronuba», furon attribuiti i cigni, propi anco d'Apollo, il quale sopra vedemmo essere lo dio della nobiltà, con gli auspìci di uno de' quali Leda concepisce di Giove l'uova, come si è sopra spiegato.

Fu la Venere plebea ella descritta nuda, perocché la pronuba era col cesto coverta, come si è detto sopra (quindi si veda quanto d'intorno a queste poetiche antichità si sieno contorte l'idee!): che poi fu creduto finto per incentivo della libidine quello che fu ritruovato con verità per significar il pudor naturale, o sia la puntualità della buona fede con la quale si osservavano tra' plebei le naturali obbligazioni; perocché, come quindi a poco vedremo nella Politica poetica, i plebei non ebbero niuna parte di cittadinanza nell'eroiche città, e sì non contraevano tra loro obbligazioni legate con alcun vincolo di legge civile, che lor facesse necessità. Quindi furon a Venere attribuite le Grazie ancor nude; e appo i latini « caussa» e « gratia» significano una cosa stessa: talché le Grazie a' poeti significar dovettero i «patti nudi», che producono la sola obbligazion naturale.



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