Hotel Portofino by J. P. O'Connell

Hotel Portofino by J. P. O'Connell

autore:J. P. O'Connell [O’Connell J., P.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2022-02-02T12:00:00+00:00


8

Nish avanzava inciampando lungo la strada, cercando di tenere il passo di Lucian e Gianluca. Gli pulsava la testa, ed era esausto dopo la lunga corsa dal laboratorio.

Il viaggio era proceduto a singhiozzo, con pause regolari di vigile attesa per assicurarsi di non essere seguiti. La cosa più importante era togliersi dalla strada principale.

Nish era preoccupato per la bicicletta, che non avevano avuto altra scelta che abbandonare. Ma Lucian aveva fatto spallucce: «Non preoccuparti. Qualcuno andrà a recuperarla».

Scesero da un ripido, roccioso pendio e attraversarono un torrente fino a raggiungere un boschetto di querce. Da lì, guidati solo dal chiaro di luna, passarono da un terrazzamento all’altro, tra filari di ulivi, fino ad arrivare a una casetta bianca che si ergeva solitaria in una macchia di peschi.

I suoi proprietari, una coppia anziana, erano chiaramente amici di Gianluca: amici e alleati. Anche se erano quasi le due del mattino, erano ancora svegli. O forse non andavano mai a dormire. Gianluca parlò con l’uomo, che era mingherlino, con una zazzera di capelli bianchi e un naso camuso. Nish distinse la parola cantina, a cui l’uomo sorrise e annuì, come se conoscesse il luogo in cui si erano accovacciati, in preda al terrore, per più di due ore, finché la vedetta non aveva bussato sulla botola per segnalare che i carabinieri se n’erano andati.

«Dice di aspettare» spiegò Gianluca, voltandosi verso gli altri. «Sua moglie controllerà la strada per arrivare in paese. Per assicurarsi che non ci sia pericolo.»

Una vecchia apparve e fece loro cenno di entrare in un salotto dal soffitto basso. Era immacolato, con le pareti di un rosa cremoso costellate di piatti e cesti di vimini, un vaso di fiori variopinti sul comò. Sulla mensola del caminetto campeggiava una cromolitografia incorniciata di un uomo barbuto che Nish riconobbe subito come il rivoluzionario anarchico russo Mikhail Bakunin.

La donna sembrava un uccellino, con i capelli stranamente corvini. Camminava piano, zoppicando appena. Quando uscì dalla casetta, l’uomo tirò fuori dei bicchierini che riempì frettolosamente di grappa. Li distribuì, alzò il suo e disse: «Alla nostra».

Nish, Gianluca e Lucian lo imitarono, poi seguirono il suo esempio mandando giù la grappa in un sorso.

Lucian si rivolse a Nish: «Tutto bene?».

«Benissimo.»

«Il piede?»

«Non è niente, davvero.»

«E la testa?»

«Solo un po’ di dolore. La grappa mi aiuterà a rilassarmi.»

Era strano, che Lucian fosse preoccupato per la salute di Nish e non il contrario. Sulle prime, Nish se l’era cavata bene. Era giovane e in forma, in fondo. Ma dopo un’ora di viaggio, le scarpe poco adatte gli avevano fatto venire vesciche che rendevano il camminare una tortura.

Era preoccupato, e continuava a preoccuparsi, di essere d’intralcio agli altri: l’anello debole, il peso che fa catturare tutti. Il che sarebbe stato esasperante, dopo tutto quello che avevano passato dall’incursione. La preoccupazione lo rendeva ansioso, e l’ansia gli dava il mal di testa, com’era successo in Francia quando aveva dovuto prendere decisioni difficili. Amputare o non amputare; medicare o abbandonare come morto.

La vecchia tornò e mormorò qualche parola al marito.

«Dice che la strada è libera» spiegò Gianluca.



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