I presocratici, ritorno alle origini by Sergio Givone;

I presocratici, ritorno alle origini by Sergio Givone;

autore:Sergio, Givone; [Givone, Sergio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Filosofia, Intersezioni
ISBN: 9788815371720
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2022-08-14T22:00:00+00:00


Come possono dirsi identici il sentiero che porta alla verità e il sentiero che allontana da essa? Non fa differenza l’andare errando in preda alle proprie allucinazioni e invece il prestare orecchio alla chiamata della Dea? Certo che fa differenza. E tuttavia non un solo passo può essere compiuto in direzione del vero senza smascherare e superare il falso, così come ogni passo fallace e menzognero non fa che dichiarare la dignità e la verità di ciò che viene calpestato. Il sentiero che porta alla verità e il sentiero che allontana da essa coincidono. Né potrebbe essere altrimenti, dato che la verità dell’essere – la quale dice che l’essere è e non può non essere – è in sé perfettamente conclusa, è una sfera perfetta. E quindi sulla sua superficie non c’è linea, non c’è tracciato, non c’è sentiero che dipartendosi da un suo punto non riconduca allo stesso punto e non c’è sentiero che dipartendosi dalla verità non riconduca alla verità: «Da qualsiasi punto io parta, là dovrò tornare».

Di ciò i mortali fanno esperienza. La loro vita non è se non esperienza di ciò. Essi vagano, o credono di vagare, come ombre. Inseguono (o credono di inseguire) opinioni insensate. Soffrono. Muoiono. Definiscono tutto ciò «venir alla luce e venir meno, essere, non essere». Eppure qualsiasi cosa tocchi a loro sperimentare, qualsiasi cosa accada loro, per l’appunto è un accadimento, in una parola (parola di verità): è. Non c’è nulla che non sia già da sempre raccolto e in salvo nella gloria dell’essere, perché non c’è nulla che non renda omaggio alla Dea. Questo vale per la vita dei mortali, qualsiasi vita, anche la più infima, la più miserabile, la più errabonda e cioè confitta nell’errore; ma vale anche per la vita di tutti gli esseri che abitano la terra, così come di quelli che abitano il cielo. E questo significa conoscere la natura delle cose e «contemplare l’etere che tutto abbraccia».

Evidentemente non si tratta, qui, della conoscenza di qualcosa da parte di qualcuno, e tantomeno della contemplazione di un oggetto da parte di un soggetto. A conoscersi, a contemplarsi, a farsi trasparente a sé stesso, proprio come l’essere si fa trasparente al pensiero, è tutto ciò che è, è l’essere – l’essere che niente rende visibile e tangibile meglio dell’etere, perché niente come l’etere rende l’idea del farsi trasparente a sé stesso. Idea, quest’ultima – la conoscenza come un farsi trasparente a sé –, che ne richiama un’altra non dissimile ma non priva di una certa equivocità. Ossia l’idea del venire alla luce. Se a venire alla luce è l’etere, anzi, l’essere, diremo allora che l’essere diviene? Uno sproposito, in bocca a Parmenide. Eppure è Parmenide a dire nel passo sopra citato che tale conoscenza è conoscenza enthen ephy e cioè conoscenza di dove l’essere sorge. D’altra parte è Parmenide a negare che l’essere abbia un’origine, una nascita, una crescita: «Quale origine potrai mai trovargli? E da dove sarebbe venuto fuori?».

La contraddizione può essere sciolta se l’atto del venire



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