Il feroce saracino. La guerra dell'islam by Pietrangelo Buttafuoco

Il feroce saracino. La guerra dell'islam by Pietrangelo Buttafuoco

autore:Pietrangelo Buttafuoco [Buttafuoco, Pietrangelo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2015-04-28T22:00:00+00:00


IL CRETINO DELLA PORTA ACCANTO, TERRORISTA E MODERNISTA

È un combattimento, quello del califfo, giocato sulla suggestione di offrire al mondo una dottrina più vera del vero. Gli assassini dell’ISIS, facciamo a capirci, non sono i lefevriani dell’islam. Il califfo non è Cristina Campo e la Tradizione universale è il bersaglio numero uno dei tagliagola. Sono i nemici della luce e della bellezza. A Nawa, nel Sud della Siria, gli eserciti agli ordini di al-Baghdadi, gli stessi che procedono allo squartamento dei nemici (altri musulmani, considerati peccatori), hanno distrutto la tomba dell’imam an-Nawawi, meta di visite devote, memoria di un santo tra i più cari della tradizione islamica, autore della meravigliosa raccolta di testi profetici Il giardino dei devoti (Riyad as-Salihin).

L’ISIS ha distrutto, tra i tanti reperti delle civiltà del passato, l’antica città di Hatra. Duemila anni di storia sono stati macinati dai caterpillar e già la demolizione dei Buddha di Bamiyan, nei primi di marzo del 2001, in Afghanistan, a opera dei talebani, è quasi un episodio minore rispetto alla devastazione messa in atto ai nostri giorni. Come a Mosul, così a Nimrud. Fino a lambire la struggente bellezza di Ninive. L’Italia, se solo avesse coscienza della propria storia, dovrebbe oggi temere per gli scavi in Libia ma ciò che nessuno in Occidente sa, ciò che non si ha cura di sapere e approfondire, è che mentre i fanatici annunciano di volere procedere perfino alla distruzione delle Piramidi d’Egitto s’è consumato uno scempio nel cuore stesso della civiltà islamica.

Nel nome di un islam ridotto a ideologia, gli assassini fanatici, hanno deciso di avanzare accompagnando al sangue sparso la profanazione dei luoghi santi senza risparmiare Mecca – il centro della sacralità universale – dove i wahabiti, nemici della tradizione, non hanno esitato a demolire i siti storici come la casa di Abu Bakr al-Siddiq, il primo dei califfi “ben guidati”, quindi la dimora di Khadigia, la prima moglie del Profeta, e così – rase al suolo – la fortezza ottomana di al-Ajad e la moschea di Abu Qubais.

Neppure la casa in cui nacque il Profeta può vantare un privilegio di fronte all’opera di distruzione del programma tutto modernista dei detentori delle Due Moschee dove alle reliquie di Muhammad, Inviato di Allah e Sigillo dei Profeti, si preferisce erigere un museo con la paccottiglia appartenuta a re Abdulaziz. Forse è opportuno citare da “Esquire” (gennaio 2011), a modo di riassunto, un preciso passaggio: “Demolished buildings in Mecca include the house of Khadijah, the wife of the Prophet, which made way for pubblic toilets and the house of Abu Bakr, the Prophet’s companion and first caliph, which in now the site of a Hilton hotel” [Tra gli edifici distrutti a Mecca ci sono la casa di Khadigia, moglie del Profeta, che ha lasciato il posto a dei bagni pubblici, e la casa di Abu Bakr, compagno del Profeta e primo califfo, dove adesso c’è un hotel Hilton].

La furia distruttrice dei wahabiti si nutre di un veleno antico. Nel 1939, l’orientalista Carlo Alfonso Nallino,



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