Il welfare. Modelli e dilemmi della cittadinanza sociale by Chiara Saraceno

Il welfare. Modelli e dilemmi della cittadinanza sociale by Chiara Saraceno

autore:Chiara Saraceno [Saraceno, Chiara]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sociologia, Farsi un'idea
editore: Il Mulino
pubblicato: 2013-09-14T22:00:00+00:00


Politiche di contrasto alla povertà

Come abbiamo già detto, le più antiche politiche sociali pubbliche, ben prima della nascita del welfare state, hanno riguardato i poveri, spesso sotto la duplice forma di disciplinamento e sostegno. Esse erano anche caratterizzate da una forte distinzione tra poveri meritevoli (per lo più le vedove e gli orfani) e poveri immeritevoli. Questa distinzione dava luogo a una differenziazione più meno spinta delle forme di sostegno, attraverso la costituzione di diverse categorie, e graduatorie, di poveri. Il primo aspetto, il disciplinamento, derivava non solo dall’immagine dei poveri – in particolare se maschi adulti – come «classe pericolosa», ma da una prospettiva assieme culturale e morale che oggi chiameremmo «attivazione». I poveri non dovevano rimanere oziosi ed erano tenuti a guadagnarsi duramente l’eventuale sussidio. Le poor houses – ricoveri per i poveri ove questi perdevano le libertà civili – erano anche work houses, ove i poveri dovevano lavorare senza distinzione di sesso o età.

Policy makers come Beveridge pensavano che la combinazione di pieno impiego (maschile), unitamente alla protezione dalla disoccupazione e in vecchiaia, avrebbero progressivamente eliminato la necessità di politiche specifiche rivolte ai poveri, eliminando le cause della povertà.

Si trattava, a ben vedere, di una visione non solo ottimistica circa il funzionamento dell’economia e del mercato del lavoro, ma anche basata sull’assunto implicito della solidarietà familiare verso i non lavoratori, in particolare i minori e le donne con responsabilità familiari, e su un modello di famiglia in cui l’uomo era il principale, se non unico, procacciatore di reddito e la donna la principale, se non unica, responsabile per il lavoro domestico e di cura. Insieme alle incertezze del mercato del lavoro, alla sua diversificazione territoriale (nel Mezzogiorno italiano, ad esempio, non tutti gli uomini riescono ad accedere alla condizione di adeguato procacciatore di reddito familiare), al fatto che non sempre un lavoro dà un reddito adeguato al mantenimento di una famiglia, quell’assunto implicito sulla divisione del lavoro in famiglia tra uomini e donne non è riuscito a garantire dal rischio di povertà strati più o meno ampi di popolazione anche nell’età d’oro del welfare state, rendendo particolarmente vulnerabili le donne e i minori. Così, mentre la generalizzazione dei sistemi pensionistici alla stragrande maggioranza della popolazione anziana ha progressivamente ridotto il rischio di povertà in questo gruppo di popolazione in tutti i regimi di welfare, ciò è stato meno vero per donne non anziane e bambini, rimasti esposti non solo al rischio di possibili squilibri tra reddito familiare disponibile e numerosità della famiglia, ma anche della (in)stabilità della coppia genitoriale. Dagli anni Novanta in poi, in molti Paesi sviluppati la povertà si è particolarmente concentrata fra i minori, in particolare nelle famiglie numerose (con tre o più figli) e in quelle con donna (madre sola) capofamiglia, anche se in grado diverso nei vari Paesi.

Che ci fosse o meno la previsione di una progressiva sparizione della povertà, o comunque di una sua riduzione a fenomeno assolutamente marginale, molti Paesi già nel secondo dopoguerra introdussero forme di reddito minimo per



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