Juma. Il bambino che voleva lavorare by Enrico Vecchi

Juma. Il bambino che voleva lavorare by Enrico Vecchi

autore:Enrico Vecchi
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR Rizzoli
pubblicato: 2018-03-14T16:00:00+00:00


Capitolo 12

Per essere un buon parcheggiatore è meglio essere alti, come Nelson.

I vantaggi sono almeno due:

Primo, vedi arrivare i clienti da lontano.

Secondo, se questi non vogliono pagare, hai più centimetri per far valere le tue ragioni.

Per uno della mia statura, invece, era meglio un lavoro più “basso”, a contatto con la terra, come il lustrascarpe. In uno dei miei giri di ricognizione fra i bidoni dello stadio, avevo trovato una vecchia coperta di lana e ogni tanto ritagliavo una striscia per usarla come straccio. Il resto era saliva, olio di gomito e buona volontà... anche se quest’ultima stava scomparendo piano piano, divorata dalle sniffate di colla che ormai mi facevo tutti i giorni. Il fatto è che più sniffavo e più avevo voglia di sniffare. L’effetto di una bottiglietta mi durava sempre meno e quello che era nato come un gioco con il passare dei giorni si stava trasformando in una necessità.

La notte, prima di andare a letto, ne mettevo sempre un po’ da parte. La rubavo da una delle bottigliette che facevamo girare, la spalmavo su un pezzetto di plastica e me la infilavo in tasca. Poi m’addormentavo con il timore che Marcus o Malcolm me la portassero via. Se la mattina era ancora lì, mi facevo subito una sniffata di nascosto. Non volevo affrontare una giornata di lavoro a mente lucida. Ero convinto che la colla mi desse forza e che senza di lei non ce l’avrei fatta. Non capivo che era l’esatto contrario.

Di giorno andavo a sedermi sul marciapiede del Iqbal Hotel, in Latema Road. L’askari si chiamava Robert, era un Luo come me ed era un tipo molto religioso. Eppure, a differenza della maggior parte dei credenti che conobbi in quei giorni, non mi fece mai nessuna predica sulla droga. Per lui ognuno era responsabile delle proprie scelte. Anche i bambini. Solo una volta entrò in argomento:

«Un drogato è come uno struzzo che cerca di nascondersi» mi disse.

Nient’altro, solo questo. Forse proprio per il fatto che non mi diceva mai niente, quella frase mi arrivò come una freccia nello stomaco. Come se mi stesse dicendo: “Il fatto che non ti dica mai niente, non vuol dire che non veda come sei ridotto.”

Dopo quel giorno cambiai postazione. M’installai vicino al New Kenya Lodge, un altro hotel frequentato da stranieri, ma con un askari che si stordiva di droga peggio di me. Fra lui e Robert non c’era confronto. Ma dopo la frase sugli struzzi, non avevo la forza di tornare all’Iqbal. Mi sentivo smascherato e preferivo la compagnia di un relitto umano simile a me a quella di chi poteva risvegliare la mia coscienza.

Passarono i giorni, le settimane, un mese, forse due. Tutto era grigio, opaco, uguale. Non m’importava più niente di niente. E meno che meno della mia vita. Fra l’effetto della colla e il lavoro che mi ero scelto, non riuscivo più ad alzare lo sguardo da terra. Ormai non vedevo più nient’altro che scarpe, solo scarpe.

Cielo, sole, nuvole, stelle erano solo un ricordo; la



scaricare



Disconoscimento:
Questo sito non memorizza alcun file sul suo server. Abbiamo solo indice e link                                                  contenuto fornito da altri siti. Contatta i fornitori di contenuti per rimuovere eventuali contenuti di copyright e inviaci un'email. Cancelleremo immediatamente i collegamenti o il contenuto pertinenti.