La grande mattanza by Enzo Ciconte

La grande mattanza by Enzo Ciconte

autore:Enzo Ciconte [Ciconte, Enzo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2018-05-08T22:00:00+00:00


«Ed io rispondevo: ‘fucilate’»

Le relazioni dei generali e degli alti gradi dell’esercito sono molto importanti perché danno la versione ufficiale dei fatti, ma sono altrettanto importanti, e a volte di più, le lettere private, i diari.

Ecco, ad esempio, come descrive la sua azione il generale Enrico Morozzo Della Rocca, un conte torinese, nel suo libro autobiografico:

Feci fucilare alcuni capi e pubblicai che la medesima sorte sarebbe toccata a coloro che si fossero opposti, armata mano, agli arresti. Erano tanti i ribelli che numerose furono anche le fucilazioni, e da Torino mi scrissero di moderare queste esecuzioni riducendole ai soli capi. Ma i miei Comandanti di distaccamento, che avevano riconosciuta la necessità dei primi provvedimenti, in certe regioni dove non era possibile governare se non incutendo terrore, vedendosi arrivare l’ordine di fucilare soltanto i capi telegrafavano con questa formula: ‘arrestati, armi in mano, nel luogo tale, tre, quattro, cinque capi di briganti’. Ed io rispondevo: ‘fucilate’. Poco dopo il Fanti, a cui il numero dei capi parve straordinario, mi invitò a sospendere le fucilazioni e a trattenere prigionieri tutti gli arrestati. Le prigioni e le caserme rigurgitarono62.

C’è tutto in questo scritto: la cultura e la filosofia di ufficiali che non hanno il benché minimo rispetto della vita altrui e che, convinti della salutare potenza del terrore, pur di proseguire ad uccidere usano dei marchingegni meschini per aggirare il dissenso dei vertici politici. Trapelano l’ipocrisia nei rapporti tra Torino e i livelli locali e l’impossibilità da parte dei vertici ministeriali di rimuovere o di punire chi adotta sul campo illegalità palesi e una politica diversa da quella stabilita, anzi ordinata. Ma è impossibilità o mancanza di volontà da parte dei vertici ministeriali?

Anche il generale Paolo Franzini Tibaldeo ordina al comandante del battaglione misto di Benevento, nel dicembre 1861, di fucilare i briganti «benché disarmati» e di farlo subito perché «non vi sarebbe più mezzo di fucilarli dopo esame legale». È necessario fucilarli per sottrarli al giudizio del «potere giudiziario» perché, dice il generale, «non mi fido punto».

Il generale Franzini è nato a Casalcermelli presso Alessandria, figlio dell’amministratore delle terre dei conti Trotti-Bentivoglio. Ad appena 11 anni entra nell’Accademia militare di Torino per uscirne otto anni dopo come luogotenente di artiglieria. Un militare dalla testa ai piedi che ha sacrificato all’esercito la sua fanciullezza.

Ha idee chiare sui metodi da adottare: ci sono luoghi come Roccarainola, Pioppa, Gargani, Camposano che sono «tutti paesi di briganti, di modo che non aspetto che l’occasione di sorprendere una parte della comitiva alloggiata in uno di quei villaggi, nei quali so che si ricovera sovente, perché quelle popolazioni vi tengon mano; ed in caso che vi riesca vi do il fuoco».

È un militare tutto d’un pezzo, ed è convinto che la guerra ai briganti debba essere condotta solo dai soldati e non dalla Guardia nazionale. Ecco perché nel dicembre 1861 ordina al comandante del distaccamento di Caserta: «Proceda col massimo rigore disciplinare contro le mancanze della G.N. non sarebbe ne manco male che allorquando succede qualche disordine fra



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