La guerra per il Mezzogiorno by Carmine Pinto

La guerra per il Mezzogiorno by Carmine Pinto

autore:Carmine Pinto
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Cultura storica
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2019-07-28T22:00:00+00:00


4. Martirologio borbonico

Paolo di Sangro, tenente colonnello del genio borbonico, era morto a Gaeta. Membro di un ramo storico dell’aristocrazia napoletana, fu ricordato poche settimane dopo con un necrologio che lo celebrò come eroe della fedeltà al re e alla patria199. Il figlio scrisse a Francesco II che per la famiglia quella perdita «sarebbe incapace di conforto se collegata non fosse alle circostanze di essere egli mancato servendo il Sovrano... nel periodo più glorioso ed eroico di resistenza di Vostra Maestà»200. I borbonici volevano respingere l’immagine farsesca, propagandata dal movimento nazionale italiano, dell’«esercito di Franceschiello». Francesco II rispose alle accuse di Ricasoli, che aveva ironizzato sulla combattività dell’armata duo-siciliana, dicendo che i veri vigliacchi erano passati con gli italiani, «avendo abbandonato la loro bandiera e tradito il giuramento che è la religione del soldato»201. I soldati borbonici invece si erano battuti contro l’invasione, erano tra i guerriglieri oppure erano deportati «a Genova, ad Alessandria, a Fenestrelle, senza forma di processo, senza arresto pronunziato»202.

Il patriottismo borbonico cercò ragioni nella celebrazione dell’estremo sacrificio. Radicare la figura dei martiri era parte di una più vasta retorica che, oltre ad esaltare gli eroi, doveva identificare i nemici per argomentare l’eroismo legittimista, spiegare il successo dei contendenti e la possibilità di una revanche. Borjes, appena ucciso, fu celebrato da Garnier, che pubblicò a Parigi una biografia del generale carlista203. Grazie agli interventi su La Marmora di Folco Ruffo, principe di Scilla, e del visconte parigino di Saint-Priest, il suo corpo fu riesumato e portato a Roma per ricevere solenni funerali nella chiesa del Gesù alla presenza di tutto il mondo legittimista. Sempre nella capitale pontificia, in occasione dell’anniversario della battaglia, gli esuli, «i profughi di Napoli», si riunivano per una messa in ricordo dei «Martiri del Volturno»204; il francescano Da Pezza spiegò che i caduti per il re e per la patria avevano preparato «l’ora del Risorgimento del nostro Regno»205.

Questo miscuglio di orgoglio nazionale e mitizzazione dei suoi difensori fu esteso al brigantaggio206. Si svilupparono così altre due narrazioni, quella dei guerriglieri e quella delle stragi, tentando di farne dei simboli eroici, adottando sin da subito anche un’accezione positiva dello stesso termine «brigante». De Sivo, appena fuggito a Roma, pubblicò un opuscolo che ebbe edizioni anche clandestine nel Napoletano:

Questo nome di brigante, che fu già triste ed abbietto, noi lo facciamo amare dalle anime gentili, e lo rendiamo glorioso... È quasi un anno che combattiamo nudi, scalzi, senza pane, senza tetto, senza giacigli, sotto i raggi cocenti del sole o fra i geli dell’inverno, entro inospitali boschi, sovra sterili lande, traversando muraglie senza scale, affrontando inermi gli armati, conquistando con le braccia le carabine e i cannoni, e strappando pur sui campi di Puglia e di Terra di Lavoro le vittorie a su perbinissimi nemici207.

Il visconte Oscar de Poli de Saint-Tronquet scrisse degli articoli – che inviava alla «Gazette de France» e raccolse poi in un libro per il pubblico francese – in cui descriveva i briganti come eroi, organizzati militarmente e aiutati dalle popolazioni. Le loro donne erano pronte a morire con loro.



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