La mia eredità sono io by Indro Montanelli

La mia eredità sono io by Indro Montanelli

autore:Indro Montanelli [Montanelli, Indro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica, Biografie
ISBN: 9788858601303
editore: BUR saggi
pubblicato: 2008-11-11T16:00:00+00:00


(1951)

da Incontri

FAUSTO COPPI

(1919-1960)

Fausto, il campione più fragile che mai si sia impegnato nello sport più rude, dava sempre il senso di essere portato dal vento, più che dalla forza dei suoi garretti. I cronisti che lo seguivano scrivevano che egli macinava gli avversari, che li «sbriciolava», che li «stracciava»: e questo era, infatti, il risultato finale delle sue corse, ma non lo stile con cui le correva. Finché non aveva tagliato il traguardo, anche se era in anticipo di decine di minuti sugli immediati inseguitori, si restava col cuore in sospeso, tale era l’impressione ch’egli dava di materiale inconsistenza. Ogni sua caduta si traduceva in una catastrofe di ossa infrante. Un piccolo strapazzo dietetico gli procurava coliche e vomito. Un po’ di vento bastava ad arrossargli gli occhi, rendendolo cieco. Egli non correva mai contro degli avversari: non ce ne sono mai stati che potessero tenergli testa. Correva contro gli elementi che potevano mettere a repentaglio la sua fralezza, gonfio d’aria come una rondine, facendo fru-fru con le ruote.

[…]

Il corridore, di cui tante volte era bastata l’ombra di Bartali a paralizzare i muscoli e a offuscare la volontà, quando nel suo giovane torace poteva entrare tant’aria da sollevarlo, senza sforzo, su qualunque più alto picco delle Alpi e dei Pirenei, si rifiutava ora di disarmare di fronte all’impossibile. Egli trovava, a quarant’anni, la «grinta» che gli era mancata a venti e a trenta. Coi primi reumatismi, Coppi era diventato Bartali, le sue gambe impennavano sui pedali, invece di muoversi dolcemente come ali d’uccello, e la sua ruota, lungi dal fare fru-fru, strideva sull’asfalto.

Le folle sentivano questa disperazione e seguitavano ad acclamarlo pur senza sperare più nulla da lui. E credo che sia stato questo a permettergli di perseverare e a lenirgli la tristezza della decadenza. In Fausto questa tristezza non si è mai tradotta in acredine o polemica rancorosità. Era rimasto il ragazzo timido e malinconico di sempre, beneducato e taciturno. Non era un personaggio pittoresco e estroverso. Si è portato in silenzio le sue croci e le sue amarezze, senza mai – ch’io sappia – addebitare ad altri le proprie disavventure.

Se stavolta ha fatto in tempo ad accorgersi di morire (ma spero di no), sono sicuro che non ne ha dato la colpa né alla caccia, né all’Africa, e neanche al «virus» che, a quanto pare, gli ha dilaniato quei formidabili polmoni. Avrà semplicemente pensato, di quel maligno bacillo, ciò che una volta mi disse, al termine di una tappa del Giro della Svizzera in cui Bartali gli aveva portato via il primato in classifica: «Era più forte, e me le ha suonate».



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