La vita privata nell'impero romano by Paul Veyne

La vita privata nell'impero romano by Paul Veyne

autore:Paul Veyne
La lingua: ita
Format: mobi, epub
pubblicato: 2013-10-30T23:00:00+00:00


Si giudica in base alle apparenze.

4°. Che cos'è a decidere se un governatore d'Egitto è un uomo pubblico o semplicemente un salariato? La sua funzione? No. Il suo "stile di vita", a seconda che egli viva da signore o che adotti un tono modesto? Nemmeno. Non viene classificato in base a ciò che è o fa, ma in base a elementi imposti dall'esterno. Nell'antica concezione del lavoro si trova così tutto uno strato di "giudizi fondati sull'esteriorità". Ragioniamo per analogia: come decidere se la potente famiglia dei Medici era una famiglia di nobili o di banchieri? Erano dei banchieri che vivevano da nobili, o dei nobili che facevano affari bancari? A deciderne sarà, come diceva Max Weber, il loro stile di vita? No. Il giudizio su di loro cade dall'esterno, qualunque cosa facciano; i loro contemporanei potranno accettare o no di collocarli tra le famiglie nobili. Se ve li collocano, la banca non sarà più la loro professione, ma un dettaglio aneddotico. Queste "classifiche fondate sull'esteriorità" sono un tranello teso agli storici; dal fatto che gli antichi notabili si dichiarassero uomini liberi da occupazioni non si deve inferire che non si occupassero di banca o di commercio...

Presso di noi, ancora oggi, un duca che è padrone di fucine resta un duca che si trova a possedere delle fucine, mentre il padrone di una fucina che non è duca sarà identificato in base alla sua qualità di fabbro. Nell'antichità un notabile non era assimilato a un armatore o a un imprenditore agricolo: era se stesso, un uomo, e, se si osasse parlare un linguaggio anacronistico, non scriveva nulla "sul proprio biglietto da visita". Infatti, occuparsi delle proprie terre non era, agli occhi di tutti, nient'altro che una necessità prosaica che non valeva a definire la sua persona più del fatto di doversi vestire al mattino. Se tornassimo ai Romani e domandassimo all'uomo della strada cosa pensa di una certa dinastia di armatori che dominava la sua città, risponderebbe: "Sono dei notabili, dei potenti, dei ricchi; partecipano alla gestione degli affari pubblici e per i benefìci che le apportano fanno molto bene alla nostra città e le offrono dei magnifici giuochi". Continuando a parlarci avremmo imparato, senza dubbio, che armavano parecchie navi. Ma non per questo erano noti come armatori. Uno storico ha mostrato di recente che l'Antichità biasimava i guadagni tratti dal commercio, in quanto frutto del vizio di cupidigia; mentre faceva un merito a un nobile di sapersi arricchire con tutti i mezzi, commercio compreso, disprezzava i negozianti di professione e considerava i nobili uomini politici o gente che non esercitava un'attività. Si tratta di una contraddizione? Si, dal punto di vista logico. Ma i Romani non erano sensibili alla contraddizione; un notabile che commerciava non era classificato un commerciante, ma era collocato in un ambito più potente, quello dei notabili. Certo, una legge a Roma vietava ai senatori il commercio marittimo; veniva violata senza scrupoli perché ciò che importava era di non essere in affari; salvate così le apparenze, i senatori facevano degli affari.



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