Le streghe di Manningtree by A.K. Blakemore

Le streghe di Manningtree by A.K. Blakemore

autore:A.K. Blakemore [Blakemore, A.K.]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9791259675330
editore: © 2023 Fazi Editore srl
pubblicato: 2023-10-22T22:00:00+00:00


18

Iconoclastia

Mi sveglio vestita di tutto punto su un letto duro e sconosciuto. So che mi trovo al Thorn. Quel dente candido e lugubre conficcato nella gola dell’estuario. Mi tengono da qualche parte ai piani superiori. La porta della camera è stata chiusa a chiave dall’esterno; questo è quanto sono riuscita a stabilire ieri sera, nello stato di panico in cui mi trovavo. Adesso è mattina. Con attenzione ascolto il lamento delle assi del pavimento ai piani di sotto, la voce baritonale degli uomini, il sussurro di una scala. È un’arte comprendere la lingua di una casa, e in genere ne sono capace, ma il Thorn mi è sconosciuto. Chi sono io per stabilire se questo struscio o quel russare è o non è una donna prigioniera nella stanza accanto, o solo un topo che si è fatto la tana nel muro? Cosa ne sarà di me?

Da qualche parte all’esterno il canto del gallo prelude a un’alba acquerellata. Mi alzo per andare alla finestra, dove vedo il sole che proietta un bagliore incontaminato su uno spicchio di baia. Sembra che abbia piovuto per tutta la notte, le pietre della strada deserta riflettono un mosaico del cielo. Un cavaliere nero si lascia alle spalle il piazzale dei carri diretto a ovest, la faccia distolta da me. Mi guardo intorno nella stanza. Una candela, un canterano vuoto, un catino, fini tende di retina gialla inamidata. La porta si apre. Il viso diafano di John Stearne appare dalla fessura. Si schiarisce la voce. Ha un mantello da viaggio appeso al braccio. «Giovine West?».

Non rispondo.

«Un... un... un messaggero è stato inviato a Colchester», prosegue. «Dobbiamo portarvi al White Hart, dove vi aspetta la milizia». Il White Hart... mastro Edes. Ho un balzo al cuore, ma non di gioia, come in passato.

Mi guardo i piedi nelle calze. «Non ho scarpe, signore», dico.

«Andremo a cavallo», risponde lui, escludendo categoricamente la possibilità di procurarmi un paio di scarpe. È rallegrato, credo, dalla mia apparente docilità; probabilmente credeva che mi sarei avventata contro i suoi occhi cisposi soffiando come un gatto. Stearne entra e fa per legarmi di nuovo i polsi, canticchiando tra sé una vivace ballata puritana. Mi giunge uno scroscio di risa – dolenti, femminili – da una stanza vicina. Dunque ci sono altre prigioniere. Bruscamente mi lega il mantello alla gola. È troppo grande e puzza di fumo di tabacco. Mi spinge fuori dalla porta verso un’altra figura ammantellata di nero. Alzo lo sguardo e mi trovo faccia a faccia con mia madre. I suoi occhi sono stanchi e iniettati di sangue, la testa e le spalle scoperte e pesanti; sussurra: «Becky», con un sollievo incerto, perché sono qui, vi­va e vegeta. Comunque qui. Per un istante mi illudo di poterla abbracciare, tuttavia con le mani legate riusciamo soltanto ad accostarci fugacemente prima che messer Stearne e il capitano ci separino di nuovo.

«Be’, che scenetta commovente», esclama Helen Clarke dalla tromba delle scale. Sembra che sia stata trascinata fuori dal letto con la camicia da notte sgualcita.



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