Libro bianco by Piero Scanziani

Libro bianco by Piero Scanziani

autore:Piero Scanziani [Scanziani, Piero]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Utopia
pubblicato: 2023-01-12T23:00:00+00:00


Un mattino, dopo altri pleniluni, dopo altre urla di altri lupi, Abele si destò quando tutti dormivano ancora. Seduto sul giaciglio di foglie, osservava gli altri, con il vantaggio di chi, sveglio, guarda i dormienti immobili e quieti, quasi alla sua mercé, nel sonno pacato dell’alba.

Tutti giacevano abbandonati e senza sguardo. Caino stava col volto disteso e le mani aperte né pareva più lo stesso del giorno innanzi, quando avevano litigato. Anche il piccolo Set dormiva in pace: dalla bocca un filo di bava gli inumidiva il mento. Eva era tutta raggomitolata contro il petto di Adamo, ma il braccio materno, pur nel sonno, proteggeva la neonata. Più in là Vea era distesa bocconi tra le foglie, il volto celato dalla biondezza scarmigliata dei capelli. Vea pareva un’altra, così immobile, così docile al suo sguardo, gli pareva diversa da quella che negli ultimi giorni non lo guardava più, non gli rivolgeva più la parola, più non veniva a trovare le renne, più alla sera non gli si metteva vicina al momento del pasto comune.

Tutto ciò era successo soltanto perché Abele giorni prima, mentre era sdraiato a terra presso la fonte, aveva veduto passare Vea e, per burla, aveva allungato il piede, dandole lo sgambetto. Era un vecchio tiro che avevano ripetuto tante volte quand’erano più piccoli e che terminava sempre con una lotta corpo a corpo, fino a che, stanchi, non ristavano entrambi, ridenti senza fiato. Stavolta invece la fanciulla ( caduta di schianto con la faccia innanzi dentro la pozzanghera fangosa che stava sotto la fonte ) aveva agghiacciato la risata di Abele con uno sguardo indignato, mentre si rialzava strappandosi l’infangata collana di fiori freschi che s’era appena messa sul petto, strappandosi dai fianchi l’infangato intreccio di foglie che aveva faticato un giorno a prepararsi. S’era strappato tutto e tutto gli aveva tirato in faccia, aspra e adirata, mentre nel petto le si moveva a grossi respiri un singhiozzo, che poi saliva su per la gola indurita e terminava sulla bocca e sul volto, contratti e lacrimosi. Era corsa via, senza nulla addosso ed egli la guardava incantato, sorpreso di quanto fosse mutata ( non più ragazzina magra e ossuta, rotonda invece e soave ), conscio che la sua burla era divenuta un incolmabile disastro. Infatti da quel momento Vea non l’aveva guardato più.

Ma ora, nel sonno, la fanciulla non aveva corrucci. Stava davanti a lui addormentata, semplice e chiara, senza moti sdegnosi, stava davanti al suo sguardo arresa e remissiva. Nel sonno la fanciulla si mosse e Abele, temendo che il risveglio le riportasse il volto acerbo e ostile, preferì sgusciar via dalla caverna, fuori, dove l’aria era fresca, non ancora respirata da nessuno.

I cherubini erano tornati a illuminare il mondo, fugando i diavoli e le loro tenebre. Nell’aria limpida ogni cosa appariva vergine all’occhio di Abele, il quale si stirava deliziosamente, dissipando le ultime pigrizie di sonno. Ma credette di sognare ancora, quando lo sguardo gli cadde sul recinto delle renne, vuoto.

Restò immobile, incredulo, sbattendo le



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