L'idea di Medioevo by Giuseppe Sergi

L'idea di Medioevo by Giuseppe Sergi

autore:Giuseppe Sergi [Sergi, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Donzelli Editore
pubblicato: 2015-05-26T22:00:00+00:00


VII. I secoli della presunta economia

«chiusa» e «naturale»

Dal punto di vista economico i secoli altomedievali furono indubbiamente caratterizzati da condizioni di vita difficili: le continue guerre, il precario radicamento delle popolazioni nelle diverse regioni d’Europa, la perdita di funzione delle città, la riduzione degli spazi coltivati (a vantaggio di foreste e paludi che in più luoghi avevano ripreso il sopravvento), la forte diminuzione (anche se non totale sparizione) degli scambi commerciali e della circolazione monetaria erano al tempo stesso cause ed effetti di un costante calo della popolazione europea, che nel secolo VIII – secondo calcoli che sono, per carenza delle fonti, largamente ipotetici – doveva essere di 1520 000 000 di abitanti, a confronto degli oltre trenta milioni del tardo Impero romano, prima che una decina di pestilenze colpissero a ondate le regioni che si affacciavano sul Mediterraneo dalla metà del secolo VI alla metà dell’VIII.

Nei secoli VII e VIII le regioni europee settentrionali e orientali (corrispondenti all’odierna Germania e ai paesi slavi) furono colpite in misura minore dalla crisi, accentuando così la caratterizzazione meno latina e più germanica della civiltà europea di quegli anni. Ma anche in queste zone – in parte perché da sempre meno abitate, in parte perché si era verificato, come dovunque, un arretramento del coltivo – nel paesaggio c’era una netta predominanza dell’incolto: boschi e foreste dalla costa atlantica al Danubio, in prevalenza steppe dall’odierna Ungheria verso est. La foresta copriva gran parte degli spazi e, all’interno di essa, come fossero isole insediative, si trovavano le città e i villaggi. I villaggi erano nuclei abitativi di forme e di dimensioni varie. Fuori della parte abitata e per lo più recintata si estendeva l’area coltivata di competenza del villaggio, con campi (prevalentemente destinati a cereali), vigne e prati. Ancora più all’esterno c’era una fascia di terre comuni: pascoli e boschi curati dalla comunità (per la raccolta di foglie, frasche e legname, per il pascolo dei maiali, che si cibavano delle ghiande delle querce). Oltre queste tre zone (l’abitato, il coltivo e le terre comuni) si estendeva la foresta, percorsa solo occasionalmente e usata per la caccia.

Su realtà come questa era intervenuto legislativamente Carlo Magno: non si dovevano confondere le terre allodiali (dal termine latinizzato alodium che, come l’antico germanico al lod, nei documenti del tempo indicava la piena proprietà) con le terre beneficiarie (evidentemente perché i titolari di feudi avevano già allora tendenza a considerarli loro proprietà); i potenti del regno non dovevano chiedere ai contadini corvées (cioè prestazioni d’opera) come tributi pubblici, ma solo come pagamento di terre date in concessione (evidentemente perché già avveniva che gli ufficiali pubblici cercassero di trarre vantaggi per la gestione dei loro latifondi, e che i grandi latifondisti cercassero di ottenere prestazioni di tipo signorile). Uno degli scopi era quello di tenere a freno l’indisciplina e la voracità delle maggiori famiglie, come dimostra il Capitulare de villis: con questa legge Carlo si preoccupò dell’ordinata gestione delle curtes del «fisco» regio (cioè del patrimonio pubblico, della corona), denunciando la tendenza di molti aristocratici del regno a usarle per i loro fini personali.



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