L'Italia del Risorgimento by Indro Montanelli

L'Italia del Risorgimento by Indro Montanelli

autore:Indro Montanelli
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: BUR
pubblicato: 2013-02-25T23:00:00+00:00


PARTE SECONDA

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

IL «RE GALANTUOMO»

D’Azeglio diceva che il vero Vittorio Emanuele era morto a Firenze bruciato nella sua culla quando aveva due anni, e che colui che ne aveva preso il posto e ora saliva sul trono era il figlio del macellaio fiorentino Tanaca che, avendo la stessa età del piccolo Principe, gli era stato segretamente sostituito.

In questa storia da Trovatore perfettamente intonata al gusto melodrammatico degl’Italiani un fondo di vero c’era. Effettivamente quando Carlo Alberto si trovava con la famiglia in esilio a Firenze, ospite del Granduca suo suocero, il bambino aveva corso rischio di morire nel suo letto involontariamente incendiato dalla nutrice che, per salvarlo, a tal punto si era ustionata da morire poco dopo. Più tardi, ad avvalorare la leggenda, contribuì anche la scarsa somiglianza fra padre e figlio sia nel fisico che nel morale: l’uno longilineo ed esile, chiuso, malinconico, introverso, indeciso; l’altro tracagnotto, sanguigno, esuberante e fin troppo sicuro di sé. Ma che si tratti di leggenda, non c’è dubbio. E a dimostrarlo, basta una lettera della regina Maria Teresa al proprio padre Granduca in cui, parlando del piccolo Vittorio e della sua vivacità, diceva: «Io non so veramente di dove sia uscito codesto ragazzo. Non assomiglia a nessuno di noi, e si direbbe venuto per farci disperare tutti quanti»: cosa, che se il bambino non fosse stato figlio suo, si sarebbe ben guardata dallo scrivere.

Si sa poco della giovinezza del futuro Re. Fino alla Seconda guerra mondiale e alla proclamazione della Repubblica, egli è stato oggetto di un culto, che non consentiva di frugare negli archivi; e quando s’è potuto farlo, non ci s’è trovato quasi nulla, perché il meglio ha seguito nell’esilio il suo ultimo successore. Sottraendolo alla storia e imbalsamandolo nel suo mito di «Padre della Patria», non gli hanno reso un buon servigio. Il pietoso velo con cui si sono coperti i suoi errori e debolezze serve solo a indurci nel sospetto ch’essi siano stati più grossi di quanto forse furono. E in ogni caso ha condotto a questo bel risultato: che, dei quattro grandi artefici del Risorgimento, egli è il più ignoto: la gente lo riconosce solo dai brutti monumenti in cui lo hanno effigiato.

Che fosse dotato di una forte personalità, lo dimostra il fatto che resistette all’ambiente in cui crebbe e alla pedagogia cui fu sottoposto. L’uno e l’altra sembravano fatti apposta per distruggere in lui freschezza, entusiasmi, gioia di vivere. Un po’ di tenerezza l’ebbe solo dalla madre, ma mai da suo padre che non ne era capace con nessuno, e che caso mai gli preferiva il fratellino Ferdinando, di due anni più giovane. I precettori cui fu dato in custodia erano mediocri parrucconi, rigidi e formalisti, scelti soltanto in base al loro zelo per il trono e l’altare. L’orario che gl’infliggevano era da caserma e da seminario: in piedi – estate e inverno – alle cinque e mezzo, tre ore di studio, un’ora di equitazione, altre tre ore di studio, un’ora per la colazione, poi scherma e



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