Nuovo Sillabario veneto by Malaguti Paolo
autore:Malaguti, Paolo [Malaguti, Paolo]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00
Morosa
Versione procopata di amorosa. Il veneto è ricco, come ben si sa, di queste ricomposizioni, sul genere della Merica e dell’aradio.
Interessante è notare, almeno per quanto mi riguarda, che dire morosa venga più facile rispetto al suo maschile, forse meno diffuso. Quasi che i maschi possano avere la morosa, ma che, per le ragazze, le cose debbano andare diversamente.
Una ragazza, nell’ordine, può essere madega, o mujera. Di mezzo ci sta la morosa.
Lasciando stare la mujera (da leggere, a seconda delle zone, muiera o mugiera), calco trasparente della mulier latina, e che definisce ovviamente la donna sposata, madega, di cui esiste anche un simpatico maschile madego, deriva, in modo abbastanza nitido nonostante l’incertezza di alcuni lessici, dalla radice germanica mad, da cui il Mädchen tedesco e il maiden inglese, che indicano entrambi appunto la pulzella, la vergine, la ragazza da sposare.
Morosa è, se vogliamo, la madega che si accinge a diventare mujera. Ma non solo. Innanzitutto, un dubbio profondo: la morosa è detta tale perché è colei che ama, o colei cui si rivolge l’amore? Insomma, la morosa è aggettivo attivo o passivo? In un primo momento, verrebbe da dire che la società patriarcale del mondo contadino non poteva dare autonomia affettiva alle donne, specie se giovani, e che quindi la morosa non può essere che colei che riceve l’amore, un oggetto del desiderio.
Ma quasi subito sbocciano nella mente immagini plurime dell’imbranataggine senza tempo del maschio del genere umano, cui la femmina paziente deve porre rimedio tessendo trame e tele degne di Aracne, per invogliarlo e attirarlo e incoraggiarlo a compiere dei passi che poi il drudo di turno crede fermamente aver compiuto per proprio e autonomo valore e coraggio. Alla luce di ciò, anche la morosa guadagna la sua giusta porzione di protagonismo.
Il morosamento, nei paesi ormai morti del grande Veneto contadino, era questione di filò e di fontane, di messe domenicali e di fiere patronali, di crocicchi di campagna, di biciclette. Era un’ultima, benigna permanenza di amor cortese, non a caso le morose si andavano a trovare nelle corti, prima del tramonto.
Era un fatto di codici e di comportamenti calati e condivisi in una società. Morosa, comunque, nonostante l’ambito erotico sia in molte lingue un’area di ellissi, di reticenza, era ed è parola lecita e prevista, parola buona, su cui anche il prete poteva dire la sua.
La mia più grande curiosità, mista a paura, da piccolo, era capire come si facesse a trovare la morosa. E il dubbio riguardava sia come avrei capito che quella sarebbe stata la ragazza giusta per me, sia, soprattutto, come avrei dovuto fare per renderla mia morosa. Una volta le cose erano facili: almeno, a quanto diceva un vecio del paese, l’uomo tirava una paca in testa alla fèmana e la tirava drio la siesa, dove evidentemente la rendeva sua morosa.
Purtroppo il processo di cementificazione delle città venete ha portato alla drastica riduzione delle siese, quindi io non potevo dare pache in testa a nessuna.
La società in cui viviamo ha solo apparentemente decuplicato le occasioni di incontro e di relazione.
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