Ossessioni collettive by Geert Lovink

Ossessioni collettive by Geert Lovink

autore:Geert Lovink [Lovink, Geert]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Egea
pubblicato: 2016-05-03T22:00:00+00:00


6.4. Tenersi al passo con i Google del mondo

Oltre alle difficoltà della politica istituzionale sui new media che la ricerca si trova ad affrontare, va configurandosi un altro problema di ordine generale. E qui veniamo al terzo ostacolo che emerge nello stato dell’arte dei nuovi media in seno ai media studies: in modo crescente, la ricerca arranca notevolmente dietro lo zeitgeist, tendendo di conseguenza a scrivere la storia, piuttosto che a far nascere una teoria critica in grado di dire la sua nei processi emergenti. Tanto ampio è lo spettro ricoperto dalla ricerca accademica, e tanto ancora essa ruota intorno alla produzione editoriale, che lo spazio disponibile per interventi in tempo reale diventa sempre più esiguo, figuriamoci se ne resta a sufficienza perché arti e studi umanistici diano il loro apporto a una progettazione concertata delle tecnologie e delle società del futuro. Twitter sorpassa agevolmente la CNN e altre agenzie di stampa globali, e la scienza sociale, insieme alla ricerca in ambito umanistico, ha abbandonato da tempo la corsa alla tecnologia. Ma cosa vuol dire fare ricerca nella società del tempo reale? È una domanda che non possiamo più eludere, né possiamo biasimare di nuovo le restrizioni imposte a livello istituzionale. Le strategie utilizzate dalle scienze esatte per attrarre gli investimenti più cospicui verso la «ricerca di base» possono essere di stimolo, ma sono anche pericolosamente irrealistiche, perché incapaci di generare risultati pratici nell’immediato. Le discipline artistiche e umanistiche continuano a soffrire, mentre le scienze esatte raccolgono in media l’85 per cento dei fondi per la ricerca. Di fronte a questo radicale disequilibrio, è difficile collaborare su base paritetica. Ci si è confrontati in modo appropriato con i problemi etici posti dal CERN, dal data mining e dalla biotecnologia? Vogliamo proprio lasciare che governi e aziende siano i controllori di se stessi? Teoria ed estetica saranno capaci di tornare ad assumere quei ruoli di orientamento che, bene o male, gli competevano in quanto attività visionarie? Non è ridicolo che in tempi in cui si fa un gran parlare della «città creativa» e delle sue «industrie creative», le arti e le discipline umanistiche continuino ad attrarre sempre meno finanziamenti? Forse non sono le strategie giuste per dimostrare il proprio impegno e l’urgenza dei temi e dei metodi. Che non sia meglio cominciare a fare ricerca inopportuna? In una conversazione via mail, Henry Warwick, teorico dei media ed esperto musicale di Toronto, si è espresso così:

Una simile dinamica sta interessando, senza esagerare, centinaia di dipartimenti che si occupano di media in tutto il mondo. Non convince più l’idea che tutto si giochi ancora intorno al discorso delle forme d’arte analogiche trasmesse in digitale, perché tutto, in effetti, è stato «parcellizzato» e ogni cosa non è che un semplice colore nella grande bandiera dei media. Di conseguenza, gli interessi teorici «di rottura» vengono accantonati, ignorati, castigati. La risultante precarietà si accetta come facesse «parte del gioco» […] E intanto a passare inosservato è il fatto che la svolta dei media nel senso della



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