Piano B by AA. VV

Piano B by AA. VV

autore:AA. VV. [VV., AA.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Donzelli Editore


Consigli di lettura

Bachelard, G., La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1975.

Molinari, L., Le case che siamo, Nottetempo, Milano 2020.

Tosi, A., Le case dei poveri. È ancora possibile pensare un welfare abitativo?, Mimesis, Milano 2017.

Comunicazione

di Chiara Giaccardi

1. Ripulire le parole.

Comunicazione è una delle tante parole abusate e svuotate: nella «società della comunicazione», essa è ovunque e alla fine da nessuna parte, e ormai copre forme che ben poco hanno a che vedere con il significato più profondo di questa parola. Un significato coestensivo all’umano: in quanto esseri relazionali siamo esseri comunicanti. La relazione precede il nostro essere individui e lo fonda, perché diventiamo chi siamo sempre in relazione ad altro e ad altri. La comunicazione non è quindi una funzione, un’azione, ma l’espressione della relazionalità che ci costituisce, la manifestazione della nostra essenza più profonda, del nostro essere-con. Anche per questo, come sosteneva Watzlawick, «Non si può non comunicare»1.

Per liberare questa parola dai suoi usi distorti e fuorvianti si può partire dall’etimologia, che è sempre un modo fecondo di prendersi cura delle parole, perché le ripulisce da tutte le incrostazioni di banalità e luoghi comuni che le hanno impoverite e rese, alla fine, incapaci di significare.

L’origine è communis, da cum-munus, dove munus è il dono dovuto alla comunità e da essa riconosciuto. Ed è il contrario di immunis, che vuol dire «sciolto da ogni obbligo».

Questa radice aiuta a decostruire molte cattive definizioni di comunicazione: una critica necessaria per restituire pienezza a questa parola.

Siamo abituati a pensare la comunicazione come «trasmissione», come «dire qualcosa a qualcuno», facendo transitare un contenuto (già definito) da un emittente a un ricevente. Questa è un’accezione riduttiva sotto molteplici punti di vista.

Intanto la comunicazione non è solo «dire cose», non è fatta solo di linguaggio verbale, ma è un fenomeno integrale e complesso, che coinvolge tutta la persona, il modo in cui dispone il suo corpo nello spazio, la distanza alla quale tiene l’interlocutore e molti altri aspetti, non riducibili a un messaggio codificato nel linguaggio verbale.

In secondo luogo, se ci atteniamo alla radice etimologica del mettere in comune, in una prospettiva relazionale, possiamo dire che il primo passo della comunicazione non è l’enunciazione bensì il silenzio, che è condizione dell’ascolto. Senza ascolto non c’è incontro reale, e non può esserci una autentica condivisione. Il silenzio, suggeriva la filosofa Luce Irigaray, allestisce lo spazio propizio in cui l’altro si sente accolto e valorizzato, perché il dialogo possa essere realmente fecondo.

In terzo luogo, il modello della comunicazione come trasmissione, non a caso formulato da due ingegneri (Shannon e Weaver, negli anni cinquanta) è plasmato sulla comunicazione tra macchine che emettono e ricevono segnali. Il messaggio, opportunamente codificato, transita in un canale senza alcun tipo di modifica, a meno che non intervengano fattori perturbanti (il «rumore») a rendere più difficoltosa la ricezione (decodifica). Si tratta a tutti gli effetti di una «cattiva sineddoche», che estende un caso particolare (e nemmeno il più significativo) all’intera comunicazione umana, che è molto più ricca e complessa. Il modello della trasmissione vale tutt’al



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