Spartakus. Simbologia della rivolta by Furio Jesi

Spartakus. Simbologia della rivolta by Furio Jesi

autore:Furio Jesi
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Mitologia, Spartaco
ISBN: 978-88-339-1253-0
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2000-07-06T16:00:00+00:00


Almeno in qualche circostanza, un po’ di manicheismo sarebbe opportuno; se non altro nella misura in cui costringerebbe a pesare (non diciamo subito ad accettare) ciò che Berdjaev trasse dalla concezione di Dostoevskij: «La libertà dell’uomo non può essere accolta se viene da un ordine forzato, come un suo dono. La libertà umana deve precedere tale ordine e tale armonia».6 Che cos’è la rivolta, se non l’affermazione di questo principio? Affermazione in molte occasioni distorta, alterata, deliberatamente sminuita, eppure inscindibile dallo spirito della rivolta.

Nella rivolta ogni uomo si impegna per sua libera scelta. Anche se le circostanze favoriscono la rivolta, anche se la rivolta sembra esplicitamente il risultato di una provocazione, come nel caso della rivolta spartachista, al rivoltoso resta pur sempre quella libera scelta di sbagliare verso la quale Dostoevskij rivolse tutto il suo amore-odio.

Ma nella rivolta ogni nemico è il nemico. Anche se, specialmente nei tempi moderni, l’orientamento politico delle organizzazioni degli sfruttati ha largamente inciso sulla coscienza dei rivoltosi (che pure si sono spesso trovati in contrasto con quelle organizzazioni) al punto da spingerli alla conquista dei simboli del potere degli sfruttatori per farli propri, è pur vero che il fenomeno della rivolta ha sempre determinato una più o meno temporanea catarsi. Nonostante tutte le eventuali preoccupazioni strategiche dei rivoltosi, ispirate di solito alla strategia tradizionale delle organizzazioni classiste, al momento della rivolta i simboli del potere avversario divengono così ripugnanti e nemici da apparire ben più quale oggetto da distruggere che quale oggetto di cui appropriarsi. Nei dialoghi col demone di Ivan Karamazov e di Adrian Leverkühn il problema dell’interlocutore umano è sommamente quello dell’effettiva realtà dell’interlocutore demonico. Ma l’ostilità dell’uomo verso il demone è più aristocratico disgusto che violenta aggressione. Non per nulla Dostoevskij fa esplicito riferimento al calamaio che Lutero lanciò contro il diavolo (Ivan Karamazov gli lancia contro un bicchiere). Non si tratta di una vera e propria aggressione, e anzi si tratta di un’aggressione che pericolosamente sottovaluta la forza dell’avversario. Nel Doktor Faustus la controfigura alterata di Lutero, il professor Kumpf, lancia contro un non presente diavolo neppure un calamaio ma un panino. Adrian non aggredisce in alcun modo il demone; ma Adrian già gli appartiene. Ivan Karamazov e Adrian Leverkühn non sono in alcun modo «rivoltosi», e in essi si compie la tragedia per debolezza e corruzione della civiltà borghese. Nella Berlino invernale e notturna gli spartachisti, invece, sparavano con armi da fuoco contro i Dämonen der Städte. È vero, d’altronde, che riconoscere nel nemico il demone, nel padrone il «mostro», può determinare una singolare e pericolosa sensazione di forza anche quando i rapporti di forza militari, organizzativi ed economici sono fortemente svantaggiosi. Quella netta qualificazione demonica dei simboli del potere degli sfruttatori conferisce valore determinante alla battaglia, non alla vittoria. Nelle notti del gennaio 1919 a Berlino parve davvero più importante combattere i demoni, anziché vincerli. La vittoria era già implicita nella battaglia.



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