Vegliare su di lei by Jean-Baptiste Andrea

Vegliare su di lei by Jean-Baptiste Andrea

autore:Jean-Baptiste Andrea [Andrea, Jean-Baptiste]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2024-09-15T00:00:00+00:00


Ovunque abbia vissuto – a parte il monastero in cui mi sto spegnendo e Pietra d’Alba, naturalmente – ho sempre sentito il bisogno di rinviare l’alba. Di rifuggire il giorno che mi avrebbe rivelato che Viola non c’era, rintanata nel solito posto. Non ho mai bevuto per il piacere di bere. Ma bevvi volentieri, come tutti i marinai che ho incontrato a bordo di quelle notti, volteggiando da un ponte all’altro, creature di pura luce che ardevano più intensamente man mano che si avvicinava l’inevitabile naufragio sugli scogli del mattino. Per fortuna non morivamo, almeno non subito, e la notte seguente salpavamo di nuovo. Le notti fiorentine e quelle romane si intrecciano ormai nella mia memoria. Notti senza meta punteggiate da giornate senza Viola. I canali di scolo di Roma puzzavano quanto quelli di Firenze. Adesso, però, io ero profumato.

Ce l’avevo con Viola per aver creato tutti quei buchi nella nostra storia. Per avermi respinto, allontanato, quando eravamo così vicini che non sarebbe passato un atomo tra noi due. Ce l’avevo con lei e non avevo trovato un modo migliore per farglielo capire che andarmene. Ma cominciavo a sentirmi in colpa. Non ero degno della sua amicizia più di quanto lo fosse lei della mia per trattarla così. Viola diventava il mio riflesso. La insultavo, imprecavo, e immaginavo che lei facesse lo stesso, laggiù, sul suo altopiano dove la galaverna, in quella stagione, incipriava le arance. Stessi gesti rabbiosi, stesse futili recriminazioni. Avevamo ragione entrambi, non sapevamo più chi fosse lo specchio dell’altro. Più me la prendevo con me stesso, più me la prendevo con Viola che mi costringeva a prendermela con me stesso. Giurai che non l’avrei più vista finché non avesse chiesto scusa. Da buon riflesso, lei dovette fare altrettanto, e così, senza rendercene conto, uscimmo l’uno dalla vita dell’altro. Quella spirale infernale, quel tragicomico uroboro, è l’unico modo per spiegare gli anni che seguirono.

Arrivai a Roma sotto un sole bianco che abbagliava senza riscaldare. Il mio studio si trovava in via dei Banchi Nuovi 28, a una quindicina di minuti a piedi dal Vaticano, qualcosina in più per me che ho il passo corto. La strada intersecava ad angolo retto via degli Orsini. Non ho mai saputo se dovesse il suo nome ai miei benefattori, i quali, ogni volta che glielo chiedevo, alzavano le spalle con aria misteriosa e compiaciuta. Lo studio si affacciava sul cortile interno del palazzo, dove quattro apprendisti se ne stavano impalati in attesa. Francesco si fece vivo due giorni dopo il mio arrivo, visibilmente sorpreso dalla mia decisione dell’ultimo minuto, sulle cui motivazioni non mi fece domande. Il marmo era già lì, pronto per essere utilizzato, e mi misi subito a lavorare alla mia prima commissione: San Pietro che riceve le chiavi del paradiso. Affidai la sgrossatura agli apprendisti e la sbozzatura a Jacopo, un ragazzo di quattordici anni che mi sembrava il più dotato di tutti. Dico ragazzo, ma io avevo appena quattro anni più di lui.

Le dimensioni del mio appartamento sopra lo studio avevano poco da invidiare a villa Orsini o al Grand Hotel Baglioni.



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