Vittorio Emanuele III. L'astuzia di un re by Antonio Spinosa

Vittorio Emanuele III. L'astuzia di un re by Antonio Spinosa

autore:Antonio Spinosa [Spinosa, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Royalty, Storia
ISBN: 9788804366539
Google: MwgwAQAAMAAJ
editore: Arnoldo Mondadori Editore
pubblicato: 1990-08-31T22:00:00+00:00


Il governo formato da Bonomi fu ancor più breve di quello del predecessore. Non durò che sette mesi, formalmente travolto dal dissesto della Banca italiana di sconto.

Fu invece lunga la crisi per il varo del nuovo ministero, la più lunga dal 1870 (anno della breccia di Porta Pia), se non dal 1848 (l’anno dello Statuto albertino). Le istituzioni democratiche erano allo stremo, a un sessantennio dall’unità d’Italia. Caddero le candidature di De Nicola e di Orlando.

Non riuscì nell’intento neppure Giolitti per un veto di don Sturzo, portavoce occulto del Vaticano contrario sia al progetto di imporre la nominatività dei titoli (dannosa per la Santa Sede e per gli ordini religiosi), sia alla formula delle “parallele che non s’incontrano mai” sui rapporti fra Stato e Chiesa.

L’uomo di Predappio attaccava il prete di Caltagirone per dare il segnale d’un avvicinamento tra fascismo e alte gerarchie cattoliche. Il re e Mussolini nutrivano su Sturzo gli stessi sentimenti. Il primo, dimentico di non essere un Adone, lo chiamava seccamente “lo sconcio”; il secondo più verbosamente lo definiva “un prete politicante e deforme che non celebrava mai messa e andava in giro con la tonaca sudicia a fare della bassa politica invece di curare anime”.

Durante la crisi del governo Bonomi si pose a Mussolini l’interrogativo se entrare o no nel ministero. Il duce proclamava: “Combinate o non combinate il governo! Sia però chiaro, a evitare un pericoloso salto nel buio, che non si fa contro il fascismo”. Non si trovava una soluzione, per cui il re dovette rispedire Bonomi alle Camere, ma inutilmente perché fu bocciato dai deputati.

Che fare? Come uscire dall’impasse di un così ‘litigioso’ parlamento? Questi interrogativi portavano le destre ad augurarsi un colpo di mano militare. Si diceva che ora il re volesse abboccarsi col maresciallo Giardino, quello stesso che aveva ‘ordito’ con d’Annunzio, che aveva accarezzato l’idea d’un governo forte. E questa sembrava cosa diversa da una dittatura. Vittorio smentiva, ma non mancava di dirsi pronto a prender lui l’iniziativa qualora ce ne fosse stato bisogno: “Popolari e socialisti non stiano a tirar troppo la corda, perché altro è il Parlamento, altro il Paese. Credono che non sappia vedere la differenza?”

A tamponare la situazione emerse il nome di Luigi Facta, un altro poulain, così per dire, di Giolitti, piemontese come lui e suo ex ministro delle Finanze. Ma ad avanzarne la candidatura fu De Nicola. Facta riuscì dove erano falliti gli altri, tuttavia portò avanti assai malamente il suo esperimento, senza mostrarsi capace di opporsi alle nuove ondate della violenza squadrista. Agli occhi di Salvemini, il nuovo capo del governo era “un uomo politico di quart’ordine col cervello di una gallina”. Aveva il governo Facta la percezione di trovarsi sull’orlo d’un abisso? Eppure intorno a quel ministero si era realizzato un nuovo e vasto schieramento parlamentare. La sua maggioranza era formata dai gruppi liberali, dai socialisti riformisti, dai popolari - che avevano accettato di farne parte “per stanchezza”, come disse De Gasperi, contravvenendo al ‘no’ di Sturzo - e infine dai fascisti.



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