Wittgenstein su regole e linguaggio privato by Saul Kripke
autore:Saul Kripke
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2016-11-09T16:00:00+00:00
POSCRITTO
WITTGENSTEIN E LA MENTE DEGLI ALTRI
Nella sua recensione alle Ricerche filosofiche, Norman Malcolm1 osserva che Wittgenstein, in aggiunta al suo attacco “interno” al linguaggio privato, ne elabora anche uno “esterno”. “Ciò che viene attaccato è l’ipotesi che una volta che io sappia dal mio proprio caso che cosa sia il dolore, il solletico o la coscienza, io possa trasferire l’idea di queste cose agli oggetti al di fuori di me stesso (§ 283).” La filosofia della mente tradizionale ha sostenuto, relativamente al “problema delle menti altrui”, che dato che io so che cosa significa per me sentire il solletico, io posso sollevare la questione scettica se altri sentano mai quel che sento io, e addirittura se esistano menti coscienti dietro ai loro corpi. Si tratta di un problema di giustificazione epistemica della nostra “credenza” che esistano altre menti “dietro ai corpi” e che le loro sensazioni siano simili alle nostre. Già che ci siamo, potremmo addirittura chiederci se le pietre, le sedie, i tavoli e simili pensino e sentano; si presume che sia perfettamente sensata l’ipotesi che essi effettivamente pensino e sentano. Qualche filosofo - i solipsisti - dubita o nega decisamente che alcun altro corpo eccetto uno (“il mio corpo”) abbia “dietro di sé” una mente. Alcuni - i panpsichisti - attribuiscono una mente a tutti gli oggetti materiali. Altri ancora - i cartesiani - credono che esistano menti dietro ai corpi umani, ma non dietro a quelli degli animali e tanto meno dietro ai corpi inanimati. La posizione più comune è probabilmente quella che attribuisce una mente sia ai corpi umani, sia a quelli animali, ma non ai corpi inanimati. Tutti presuppongono, senza argomentarlo, che si parta da un concetto generale antecedentemente compreso di un dato oggetto materiale che “ha”, o non ha, una mente; è un problema quali oggetti dì fatto abbiano una mente e perché mai si debba pensare che l’abbiano (o ne siano privi). Al contrario, sembra che Wittgenstein ritenga che si possa mettere in dubbio la stessa sensatezza dell’attribuzione di sensazioni ad altri se, seguendo il modello tradizionale, cerchiamo di estrapolarla dal nostro stesso caso particolare. Secondo il modello tradizionale in questione - sembra che stia dicendo Wittgenstein - è dubbio che si possa avere una “credenza” a proposito delle menti altrui, e delle altrui sensazioni, che debba essere giustificata.
Malcolm cita il § 302: “Non è così semplice rappresentarsi il dolore di un altro secondo il modello del proprio: dovrei infatti rappresentarmi, in base a dolori che sento, dolori che non sento. Cioè, nell’immaginazione non devo semplicemente compiere il passaggio da un punto dolente a un altro; per esempio, dalla mano al braccio. Infatti non devo immaginare di sentire dolore in un punto del suo corpo. (Il che sarebbe anche possibile.)” In che cosa consiste qui l’argomento? Il primo tentativo di esegesi di Malcolm è il seguente: “Se dovessi imparare che cos’è il dolore dalla percezione dei miei propri dolori allora necessariamente avrei imparato che il dolore è qualcosa che esiste solo quando io lo sento.
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