Canne al Vento by Grazia Deledda

Canne al Vento by Grazia Deledda

autore:Grazia Deledda
La lingua: ita
Format: mobi, epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Capitolo decimo

Donna Ruth se n'era andata, e ombre e silenzio circondavano di nuovo la casa.

Efix, seduto sullo scalino, con un gelsomino in mano e la testa appoggiata al muro, aspettava il

ritorno di Giacinto con un vago sentimento di paura.

Giacinto non tornava. Senza dubbio aveva saputo del disastro e a sua volta esitava a ritornare.

Dov'era? Ancora ad Oliena, o a Nuoro o più lontano?

Efix cercava di raccogliere le sue idee, i ricordi, le impressioni di quei tre giorni di terrore. Ecco,

gli sembrava d'essere ancora seduto davanti alla sua capanna ad ascoltare l'usignolo che cantava

laggiù tra gli ontani: sembrava la voce del fiume, quell'onda d'armonia che si spandeva a rinfrescare

la notte, ed era così canora e straziante che gli stessi spiriti notturni si rifugiavano sull'orlo della

collina protesi immobili ad ascoltarlo. Efix si sentiva portato via come da un impeto di vento:

ricordi e speranze lo sollevavano. Aspettava Giacinto, e Giacinto veniva con sue notizie

fantastiche: aveva trovato un posto, aveva tenuto la sua promessa d'essere la consolazione delle

vecchie zie. E don Predu aveva domandato Noemi in moglie...

Ma invece di Giacinto arrivò Zuannantoni con qualche cosa di nero sul petto come un avvoltoio

morto. Da quel momento Efix aveva l'impressione di esser caduto sotto un urto di febbre delirante.

Che incubo, lo stradone biancastro nella notte, e la voce della fisarmonica che scendeva dalla

collina e faceva tacere quella dell'usignolo! Tutti i folletti e i mostri s'erano scossi e danzavano

nell'ombra, inseguendolo e circondandolo.

Ed ecco adesso egli aspettava di nuovo: ma Giacinto aveva anche lui preso un aspetto mostruoso,

come se gli spiriti notturni l'avessero portato via nel loro regno misterioso ed egli ritornasse di là

orribilmente deformato.

Meglio non tornasse mai.

Dalla cucina usciva un po' di barlume che illuminava una parte del cortile; s'udiva dentro qualche

timido rumore; Noemi e donna Ester si muovevano di là, ma pareva avessero paura anche loro,

paura di farsi sentire a vivere.

Ma qualcuno spinse il portone e tutti e tre, le donne e il servo, balzarono come svegliandosi da

quel sogno di morte.

Era ancora la vecchia Pottoi che veniva a domandare notizie di Giacinto: si avanzò come

un'ombra, ma doveva aver lasciato fuori qualcuno perché si volse a guardare, mentre le dame si

ritiravano sdegnose.

“Da cinque giorni il ragazzo è assente e non si sa dov'è! Dillo tu; anima mia, Efix, dov'è.”

“Come posso dirvelo se non lo so neppur io?”

“Dimmelo, dimmelo”, ella insisté, curvandosi su Efix e toccandosi le collane quasi volesse

levarsele e offrirgliele. “L'avete mandato via? L'ha mandato via donna Noemi?... Dimmelo, tu lo

sai. Grixenda mia muore...”

Si curvava, si curvava, e sul suo profilo nero come su quello di una montagna Efix vedeva brillare

una stella.

“Che cosa posso dirti, anima mia?”

“Ma nulla, vecchia!”, egli disse a voce alta. “Vi giuro che non lo so! Ma appena sarà qui vi

avvertirò...”

“Tu sei buono, Efix! Dio ti pagherà. Vieni là fuori... Confortala...”

Gli afferrò la mano e lo attirò fuori. Grixenda stava appoggiata al muro e piangeva come contro

una prigione che racchiudesse tutto il suo bene e dove lei non poteva entrare.

“Ebbene, che hai? Tornerà, certo.”

“Lo senti, anima mia?”, disse la vecchia, strappando la ragazza dal muro.



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