Chiamare le cose con il loro nome by Rebecca Solnit

Chiamare le cose con il loro nome by Rebecca Solnit

autore:Rebecca Solnit [Solnit, Rebecca]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Social Science, Anthropology, Cultural & Social, General, Sociology
ISBN: 9788833312996
Google: sKKWDwAAQBAJ
editore: Ponte alle Grazie
pubblicato: 2019-05-21T22:00:00+00:00


Senza entrata, senza uscita

2016

È probabile che la vostra sia una buona vita, almeno in generale. Siete liberi di uscire di casa e avete la sicurezza di una casa a cui tornare; avete privacy e protezione da un lato, e lavoro, svaghi, rapporti sociali, nuove scoperte e interessi dall’altro. Tutto questo si avvicina a una definizione di qualità della vita: l’equilibrio di pubblico e privato, la sicurezza di occupare un posto nel mondo, o un posto e il mondo.

A partire dagli anni della rivoluzione reaganiana, questa situazione che sta alla base del benessere è diventata inaccessibile per milioni di cittadini degli Stati Uniti: i senza casa e i detenuti. I primi vivono in un fuori che non dà accesso ad alcun dentro inteso come riparo, casa e stabilità; i secondi in un dentro dal quale non hanno accesso al fuori che è la libertà. Entrambi patiscono un’assenza cronica di privacy e autonomia decisionale.

Il loro numero è enorme: 2,2 milioni di detenuti e circa mezzo milione di senza casa. Tutti sono visti come cose da gettare via; le prigioni e le strade sono i luoghi in cui sono stati gettati. Prigioni e strade: due ambienti strettamente legati e che si alimentano a vicenda secondo l’andamento classico dei circoli viziosi. I detenuti escono di galera con poche risorse per reintegrarsi nel mondo del lavoro e trovare una casa, e ciò a volte li porta direttamente per strada. La gente che vive per strada viene spesso criminalizzata per le sue azioni quotidiane, e per questo può finire in prigione.

A San Francisco è vietato per legge sedersi o sdraiarsi sui marciapiedi e dormire nei parchi pubblici, come urinare o defecare in pubblico – cioè fare le cose che facciamo nelle nostre case, i bisogni fisiologici che tutti dobbiamo necessariamente espletare. Molte persone senza casa sono invisibili: vivono sulle auto, passano la notte sul posto di lavoro, viaggiano sugli autobus notturni, dormono da amici, e apparentemente somigliano a tutti gli altri. I più devastati e marginalizzati sono i più visibili. Anche quando cercano di mantenere un basso profilo: ogni giorno passo accanto ai senza casa, vedo come cercano di scomparire dietro i supermercati e nei siti industriali, da dove è meno probabile che i residenti richiedano di farli sloggiare.

I giovani non possono ricordare (ma anche molti dei meno giovani faticheranno a farlo) che prima degli anni Ottanta i senza fissa dimora erano pochi. Non afferrano che questo problema non dovrebbe esistere, che potremmo tranquillamente risolverlo, e con esso molti altri problemi sociali, con una soluzione solo leggermente più radicale del ritorno al capitalismo «moderato» di quarant’anni fa, quando i salari reali erano più alti, la tassazione più equamente distribuita e una rete di sicurezza molto più forte riusciva a recuperare più persone in condizioni di fragilità. La mancanza di fissa dimora è stata creata dalle politiche federali, statali e locali, non solo per via dei tagli ai finanziamenti dei programmi di salute mentale, tanto spesso citati come causa del fenomeno. A perdere accesso alla casa sono



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