Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta by Massimo d'Azeglio

Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta by Massimo d'Azeglio

autore:Massimo d'Azeglio [d'Azeglio, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-19T09:35:29+00:00


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CAPITOLO XIII.

Al suono delle trombe comparve Correa armato d’azza e d’un piccolo scudo rotondo, per rispondere all’appello di Bajardo, che scavalcato risalì su un cavallo fresco e si preparò al combattimento: mossero i due avversarj l’uno contro l’altro non più lanciando i cavalli a tutta briglia, ma col contrasto del freno e degli sproni tenendoli a un mezzo galoppo fin che furono vicini. In questa zuffa la velocità della carriera non serviva, come nel correre la lancia, ad accrescere impeto ai colpi. La loro virtù nasceva più assai dal vigor del braccio, ed in gran parte dal saper governare in modo il cavallo che impennandosi facesse a tempo una volata ricadendo sulle zampe davanti; il momento della ricaduta era scelto dal cavaliere per calare il colpo, col quale si cercava per solito di ferire sull’elmo il nemico, e quando ciò veniva fatto a tempo, era tale la percossa, che difficilmente vi si reggeva. Al primo incontro, i due cavalli benissimo avvezzi ed ammaestrati, s’alzarono e ricaddero insieme, onde i guerrieri coperti dagli scudi non poteron colpirsi e passaron oltre. Al secondo, succedette lo stesso. Conosciuto Bajardo il fare dell’avversario, mosse la terza volta con maggior furia, e Correa dovè far lo stesso; ma quando si trovaron quasi a fronte, il Francese fermò a un tratto sulle groppe il cavallo nel punto che il suo nemico non aspettando tal cosa avea levato in aria il suo credendo vibrare il colpo, ma ricadde senza averlo potuto. Bajardo colse con incredibil prestezza il momento, alzò l’azza a due mani, diede di sprone, e ritto sulle staffe calò sull’elmo di Correa un grandissimo fendente che lo piegò sul collo al cavallo, e quando gli spettatori aspettavano che si rizzasse, invece venne a terra stordito e dai suoi scudieri fu portato fuor dall’arena. Bajardo uscì anch’esso salutando il balcone di D. Elvira fra gli evviva di tutto l’anfiteatro ed i suoni che celebravano la sua vittoria. Dovette però tornar tosto indietro e combattere Azevedo, che, fattosi avanti, s’offeriva fornire la sfida in luogo del suo compagno. La zuffa durò più a lungo e con varia fortuna: pure fu giudicato averne la meglio il cavaliere francese.

Presso all’entrata, fuori dell’anfiteatro erasi accomodato un luogo chiuso da uno steccato ove potessero i cavalieri che volevan combattere, tenervi i cavalli, i famigli ed armarsi. Consalvo avea provveduto che vi trovassero quanto era loro mestieri. V’eran più tavole per deporvi le armi, un fabbro con una fucinetta portatile, se mai si fosse dovuto racconciare qualche parte d’arnese, e finalmente una credenza fornita di vivande e di vini. A Brancaleone era dato il carico di badare che nulla mancasse, e fossero prestati que’ servigi che occorrevano.

Mentre egli attendeva a questa bisogna, Grajano di Asti, da lui conosciuto per averlo visto quando con Fieramosca portò il cartello al campo francese, giunse con due scudieri che recavan l’arme, e conducevano il suo cavai da battaglia. Brancaleone che, secondo l’usanza sua, avea sino a quel punto parlato pochissimo, si fece incontro a Grajano, e



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