Il diritto di andarsene by Giovanni Fornero

Il diritto di andarsene by Giovanni Fornero

autore:Giovanni Fornero [Fornero, Giovanni]
La lingua: ita
Format: epub
editore: De Agostini
pubblicato: 2023-09-15T12:00:00+00:00


Convincimento riportato nel paragrafo 52 della sentenza Koch e ripreso, con qualche lieve ritocco linguistico, nel paragrafo 59 della sentenza Gross.

La presenza, nella pronuncia Pretty, sia della tesi della indisponibilità della vita (connessa all’art. 2) sia della tesi dell’autodeterminazione dell’individuo nei confronti della propria morte (connessa all’art. 8) ha fatto sì che alcuni studiosi abbiano parlato di un “bilanciamento” fra le istanze pro-life e le istanze pro-choice, ipotizzando un tentativo, da parte della Corte, di evitare “scivolature” in senso dicotomico a favore dell’una o dell’altra tendenza biogiuridica.

In realtà, dal punto di vista logico, una soluzione “terzaforzista” di questo tipo, ammesso che rispecchi l’effettiva intenzione della Corte, risulta manifestamente vanificata dalla cosa stessa, ossia dal carattere strutturalmente confliggente delle istanze in gioco, che non consentono facili tentativi di conciliazione.

A rigore, la tesi della indisponibilità della vita confligge con la tesi della autodeterminazione nei confronti della morte. Infatti, se si afferma che l’individuo, in base all’art. 2, non ha il diritto di scegliere la morte, si stenta a capire, a fil di logica, come si possa contestualmente sostenere che, grazie all’art. 8, l’individuo ha il diritto di scegliere la morte. Al limite, o non è giuridicamente corretto l’art. 8 o, più verosimilmente, non è giuridicamente corretto l’art. 2 (o meglio: l’interpretazione che ne offre la Corte). In altri termini, se si ritiene che il diritto all’autodeterminazione derivante dall’art. 8 sia inclusivo: a) del diritto di decidere come e quando morire b) del diritto di vedere «rispettata» tale decisione, appare chiaro come esso risulti poco coerente con la tesi espressa nel paragrafo 39 della sentenza Pretty, secondo cui all’individuo non compete «il diritto di scegliere (to choose) la morte piuttosto che la vita (death rather than life)».

Tant’è che, lungi dal riuscire a contemperare le due tesi in questione – quella indisponibilista e quella disponibilista – la Corte si limita a giustapporle con scarsa coerenza logica e sistemica, mantenendosi complessivamente in quella sorta di “diritto misto” a cui si è accennato in precedenza. Diritto che si estrinseca in un simultaneo e poco consequenziale accoglimento sia di certe istanze indisponibiliste e sacraliste sia di certe istanze disponibiliste e autonomiste.

In altri termini, come si concilia la tesi secondo cui «i sette giudici che hanno affrontato il caso Pretty nel 2002 non hanno mai messo in dubbio il principio di indisponibilità della vita»277 con la tesi secondo cui per la Corte «la decisione di un individuo di porre fine ai propri giorni rientra nel diritto fondamentale della persona all’autodeterminazione»?278

La frizione appare ulteriormente evidenziata dalla circostanza che la Corte, in controtendenza rispetto alla originaria impostazione indisponibilista e sacralista della sentenza Pretty, nelle sentenze successive ha mostrato di valorizzare in modo sempre più risoluto la libertà decisionale dell’individuo di fronte alla morte.

Infatti, nella sentenza Haas, sulla scorta dell’art. 8 e in sintonia con il Tribunale svizzero, la Corte di Strasburgo, come si è visto, ha sottolineato la libertà dell’individuo di prendere decisioni intorno alla propria vita (the freedom to make a decision on the end of one’s own life)



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