Il messaggio del chassidismo by Martin Buber

Il messaggio del chassidismo by Martin Buber

autore:Martin Buber [Buber, Martin]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788880574798
editore: Giuntina
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Corpo

I

Un insegnamento che pone più in alto l’indefinibile «come» rispetto al codificabile «cosa» dell’azione non potrà tramandare ciò che gli è peculiare attraverso la scrittura; sempre e di nuovo lo farà attraverso la vita, dalla guida alla comunità, ma soprattutto dalla guida al discepolo. Non come se l’insegnamento fosse diviso tra una parte accessibile a tutti e un dominio esoterico; contraddirebbe il suo senso, che opera per l’uomo, se nascondesse una parte segreta contenente iscrizioni ieratiche. Piuttosto, il mistero che viene tramandato è proprio quello che viene proclamato dalla parola perenne, che, in base alla sua natura, può essere esposto, nella sua verità sostanziale, soltanto alla stregua di un «come», con una parola che può essere solamente accennata, attraverso un essere messo alla prova.

Un tempo uno «Tzaddìk nascosto» disse dei rabbini che «dicono Torà», cioè che interpretano la parola delle scritture: «Che importanza ha che essi dicano Torà? L’uomo deve badare che tutte le sue azioni siano una Torà».4 E in un’altra occasione è stato detto: «L’uomo saggio dovrebbe meditare a fondo su questo: che egli stesso sia un insegnamento perfetto, e che tutte le sue azioni siano il corpo del suo insegnamento; oppure, se questo non gli è concesso, che una trasmissione e un’esposizione del suo insegnamento si dispieghi in ognuno dei suoi movimenti». Un’espressione sacramentale di questa visione fondamentale ci appare quando lo Tzaddìk di Apt solleva la cintura caduta a terra del diciassettenne rabbi di Rizhin, suo successore, lo cinge, e dice che così facendo ha compiuto l’azione santa della ghelilà: lo srotolamento della Torà.

Gli uomini in cui si compie questo «essere una Torà» sono chiamati Tzaddikìm, «i giusti», i legittimi. Essi portano l’insegnamento chassidico non solo come suoi apostoli ma anche come realtà operante. Essi sono l’insegnamento.

Al fine di comprendere il significato peculiare dello Tzaddìk contrapponendolo, per esempio, allo starets russo, nel modo in cui Dostoevskij ce l’ha presentato con l’illuminante fedeltà del grande poeta, dobbiamo richiamare alla nostra mente la differenza fondamentale tra la concezione ebraica e quella cristiana della storia (o quella di un’altra religione legata a un redentore o a un liberatore, come, per esempio, il buddhismo). Non è la concezione della redenzione in sé ad essere decisiva: questa viveva già nel messianismo profetico e si sviluppò nell’ebraismo post-esilico fino ad essere il nucleo della sua visione del mondo. Ma se per le religioni legate a un redentore o a un liberatore la redenzione è per sua natura un fatto trascendente la storia, ma posto, nondimeno, in essa, per l’ebraismo essa è un vero e proprio punto di fuga prospettico. Se per il cristianesimo il tempo storico («l’eone presente») mostra una cesura, un centro assoluto in cui irrompe, per così dire, la redenzione, cosicché il terreno si spacca, e proprio in quel punto ottiene la sua fermezza, di lì in avanti irremovibile, l’ebraismo deve invece, senza nessun punto d’ormeggio centrale, lasciato interamente al suo flusso incessante, lottare per «la fine». Quanto è decisivo nel cristianesimo (non meno che nel buddhismo) è accaduto in



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