Il mito dell'Impero. Storia delle guerre italiane in Abissinia e Etiopia by Anthony Mockler
autore:Anthony Mockler
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fascismo,
editore: Longanesi
pubblicato: 1972-02-26T16:00:00+00:00
CAPITOLO QUINTO. « RAS » ABEBÉ AREGAI
Le nubi di guerra si dissolsero; e il 27 settembre i dignitari dell’Impero celebrarono il Mascal in pompa magna nella capitale. Sciabole argentee balenarono pacificamente e parasoli colorati sbocciarono; Adua poteva quasi essere dimenticata.
Avendo al fianco il suo nuovo vice-Govematore generale, il generale Nasi, il Viceré conferì il titolo di « ras » a tre dignitari: il primo fu l’oscuro degiacc Ambachau, un tempo liquemanquas dell’imperatrice Zauditù; il secondo fu il più degno di nota degiacc Amde Alì dello Uollo, uno dei più importanti cospiratori del 1936 ai danni di Hailé Selassié a Dessiè; il terzo e di gran lunga il più grande fu il degiacc Aialeu Burrù, che aveva guidato in battaglia contro gli italiani i combattenti del Beghemder e del Semien, e si era battuto al fianco di ras Immirù fino alla caduta di Gondar.
Tre grandi signori etiopi assistettero a questa cerimonia: ras Hailù del Goggiam, com’era logico... da quel fedele alleato degli italiani che era sempre stato e doveva ancora essere. Accanto a lui si trovava un altro « ras » creato dagli italiani, Hailé Selassié Gugsa, il traditore che entrambi gli schieramenti disprezzavano; e con loro v’era un nuovo venuto, ras Seyum. Ras Seyum, infatti, era finalmente tornato dalla sua protratta « visita » in Italia.
Poiché il fatto stesso che le tradizionali famiglie regnanti del Goggiam, di entrambe le regioni del Tigrai, del Beghemder e dello Uollo, erano lì rappresentate dai loro esponenti superstiti riuniti intorno al Viceré che li onorava, stava ad attestare un mutamento significativo intervenuto nell’orientamento della politica italiana. Quella riunione in occasione del Mascal del 1939 era il segno esteriore dei primi passi mossi verso la politica del « governo indiretto », ricalcata sui princìpi britannici, e alla quale, lo si sapeva, erano favorevoli sia il Duca d'Aosta sia il generale Nasi 1.
Lo scopo di ras Hailù e di ras Seyum, nonché, invero, degli altri, era quello di tornare a governare i territori di un tempo. Tale scopo non lo avevano conseguito, e non dovevano conseguirlo fino all’ultimo momento; gli italiani li trattenevano nella capitale o negli immediati dintorni, e la politica dei ras era ovviamente quella di conciliarsi gli italiani e di procedere con i piedi di piombo. Ciò nonostante si può a buon diritto supporre che la notizia del ritorno di ras Seyum si fosse diffusa rapidamente nel Tigrai, e che questa mossa da parte italiana fosse stata saggia, in quanto la semplice presenza di ras Seyum sul suolo etiopico, e le speranze destate da tale presenza, avrebbero placato tutte le tendenze alla ribellione nel Tigrai — sebbene non vi fosse mai stato, né dovesse esservi in avvenire, un gran movimento di resistenza in quelle regioni.
Gli spostamenti non si verificavano in una sola direzione. Mentre ras Seyum partiva da Napoli, il capo dei dancali, il sultano Mohammed Yayo era arrivato a Roma e là gli era stata concessa un’udienza dal Duce, al quale aveva offerto un hatoilly, un tappeto tradizionale tessuto — ironico a dirsi — per l’ex-Imperatore.
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